Venezia? Per i tedeschi un festival da Strapaese
Il cinema italiano è rimasto così a corto di talenti che per riuscire ancora a far notizia deve far ricorso ad un cineasta molto occasionale come Adriano Celentano.
Lo sostiene il settimanale “Der Spiegel”, che in un articolo piuttosto velenoso di presentazione della sessantacinquesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, che si apre domani, sbeffeggia la cinematografia italiana ed accusa il direttore della rassegna veneziana, Marco Müller, di aver organizzato un “festival patriottico”, in altri termini una specie di sagra dello Strapaese. Il settimanale di Amburgo va giù pesante come suo solito, quando decide di prendere qualcuno nel mirino, e non disdegna nemmeno di ricorrere ai colpi bassi personali, quando definisce il molleggiato “il viso da cavallo più famoso tra i cineasti italiani”.
“Per ridare smalto ad una nazione ricca di cultura come l’Italia”, è detto nell’articolo, l’unica ricetta inventata dai curatori della Mostra è quella di mettere insieme “star, merce cinematografica nazionale e Adriano Celentano”. Il settimanale ironizza anche sul fatto che la pellicola presentata dal molleggiato – sarà proiettata giovedì alle 22 nella Sal Grande – non è nemmeno nuova, ma un fondo di magazzino del 1975, “Yuppi Du”, mentre Marco Müller “sfrutta la proiezione di una copia restaurata e con un nuovo montaggio di un film supposto perduto, per dedicare una grande serata di gala a Celentano”. In altri termini, show e paillettes per cercare di tenere banco sui media nazionali e internazionali. Forse a causa del fatto che a Venezia è in concorso una sola pellicola tedesca, lo “Spiegel” bacchetta la presunta inflazione di film italiani, ricordando che oltre al film di Celentano, “le varie sezioni della Mostra presentano altri undici film nazionali, quattro dei quali in concorso per il Leone d’Oro”. “Impresa ardita”, insinua malignamente l’articolista, “poiché tutti i film italiani presentati negli anni scorsi a Venezia hanno fatto fiasco e nemmeno come film di culto sono rispuntati fuori fino ad oggi”.
Nemmeno quando elenca la parata di star internazionali in arrivo sulla laguna, come Tilda Swinton, Brad Pitt, John Malkovich e George Clooney, il settimanale riesce a privarsi del piacere di assestare un’altra stoccata, sottolineando che questa partecipazione internazionale di prim’ordine “va ad aggiungersi alle spezierie italiane generosamente servite a tavola”. La presentazione della Mostra offre anche la ghiotta occasione per battere di nuovo sul tasto di una presunta perdita di prestigio dell’Italia nel suo complesso sul piano internazionale.
“Perché il resto del mondo non ama più l’Italia?”, si chiede con preoccupazione, non si sa quanto sincera, lo “Spiegel”, secondo il quale ormai “nelle teste di molti intellettuali europei ci si arrovella, se dipende dalle montagne di rifiuti napoletani, da Berlusconi o dal patrimonio artistico maltrattato, il fatto che in passato l’Italia e la sua cultura godevano di ben altra reputazione”.
Quello che invece l’articolo si guarda bene dal ricordare è che da quando nel 2001 il tedesco Dieter Kosslick è arrivato alla guida del Festival di Berlino, non c’è edizione della Berlinale in cui non siano presenti almeno quattro pellicole della cinematografia di casa, che sia in fatto di registi che di interpreti non sembra propriamente dominare la scena mondiale. Prima di arrivare a Berlino, Kosslick aveva diretto per nove anni la Fondazione pubblica di incentivo alla produzione di film tedeschi, ma questa, per dirla con Billy Wilder, è tutta un’altra storia.
Claudio Guidi
26/08/2008 – Il Secolo XIX