Cosa ci manca di Adriano Celentano, il «magnifico irregolare» che ci ha fatto scoprire l’America e il rock
di seguito l’articolo a cui fa riferimento Adriano
La scelta del ritiro alla quotidianità domestica con Claudia Mori, la donna di una vita intera, per osservare il mondo da lì. Scatenando la nostalgia di tutti, cominciando da me.
di Walter Veltroni
C’è qualcosa di paradossale nel parlare di uno dei protagonisti della storia dello spettacolo italiano, non solo della musica leggera, avendo nostalgia del suo silenzio, dei suoi silenzi. Adriano Celentano nel nostro vissuto è meraviglioso rumore e splendidi silenzi. In una società concitata, onnivora, bulimica, frettolosa come quella in cui viviamo, viene quasi più nostalgia dei secondi che dei primi. E ora Adriano, ormai da molto tempo, si è ritratto dal circo mediatico e dal rutilante mondo dello show business.
Come altri, Mina o Lucio Battisti nel suo campo, J.D. Salinger nella letteratura, un giorno ha deciso di chiudere la serratura della sua casa e di passare il tempo a osservare il mondo, cercare di capirlo, forse progettare qualcosa di nuovo, ma nuovo davvero, chè a Adriano non piacciono le banalità. Lui è lì, con la donna della sua vita Claudia, nella sua casa e noi abbiamo, pur rispettando e comprendendo la sua scelta, una gran nostalgia di lui.
Cosa ci manca, più di tutto? Forse la sua irregolarità, la sua imperturbabile imprevedibilità, il suo essere un ostetrico delle novità, il suo non ripetersi mai.
Qualche tempo fa degli amici mi fecero un regalo graditissimo: la riproduzione in scala di una Jaguar spider e Type verde che portava una piccola insegna sotto il cofano anteriore: “Adriano Celentano, Cantagiro.”.
I miei primi ricordi di Celentano risalgono proprio a quella estate infinita che sono stati i primi anni Sessanta, quando tutto sembrava luminoso e possibile. Adriano seduto sulla capote arrotolata della spider, strattonato, baciato, venerato da un pubblico che allora veniva vissuto come puro calore e non come pericolo per l’incolumità del personaggio pubblico.
L’affermazione dell’industria culturale aveva rotto, in quegli anni, il diaframma tra le star e il pubblico. Ai tempi precedenti, quelli di Flo Sandon’s o di Tonina Torrielli, tutto era algido: i salotti pieni di legno e di uncinetto, i vestiti composti, come il taglio dei capelli e l’obbedienza assoluta alla volontà del padre, la Corte di Cassazione familiare. I giovani facevano fatica a riconoscere di esserlo. Non si rendevano conto che, almeno in Occidente, la fine dei regimi totalitari e la fase di strepitosa crescita economica, la trasformazione, in Italia e non solo, della società agricola in società industriale, la diffusione della scolarizzazione di massa, la persuasività dell’irruzione del televisore nelle case degli italiani: tutto questo stava cambiando radicalmente, non solo la geografia sociale del paese ma anche il modo di pensare e di relazionarsi con gli altri. E poi stavano arrivando i Beatles, mica pizza e fichi.
Celentano era arrivato prima, come sempre gli è accaduto nella sua vita artistica. Aveva scoperto l’America, quando ancora in Italia il riferimento era la Francia. Si era innamorato della musica oltreoceano attraverso si era un disco regalatogli da un suo amico: Rock around the clock di Bill Haley, e prima era rimasto stregato da Elvis Presley, la prima microfrattura nel perbenismo che legittimamente, si era diffuso come un’iniezione di tranquillità, dopo la bufera di sangue della seconda guerra mondiale.
Lo choc
Bisogna pensare cosa fu, per gli occhi degli italiani in grisaglia, l’irruzione del frenetico movimento ondulatorio del corpo di questo giovanotto nel mondo lento e quasi ottocentesco di Luciano Tajoli o di Carla Boni. Stava finendo un tempo della storia e ne arrivava, improvviso come un flash, uno sconosciuto e seducente. Dalla China Martini si passava alla Fanta. Nel 1956, l’anno della crisi di Suez, dell’invasione di Ungheria, del XX congresso del Pcus Celentano esordisce con il suo gruppo rock al locale l’Ancora di Milano. Canta in un inglese maccheronico, a metà tra Alberto Sordi e le bravate goliardiche, ma lo farà diventare una neo lingua fino al capolavoro Prisincolinensinanciusol.
Celentano fa conoscere agli italiani la grande musica anglosassone, sia nella versione originale che in quella dei testi tradotti. Dal 1958 al 1961 incide 19 singoli, poi arriva a Sanremo con 24000 baci ed è un terremoto. Volta le spalle al pubblico all’inizio del brano. Ed è scandalo. Fa sorridere che quell’anno vincerà ancora l’Italia melodica con Al di là eseguita da Luciano Tajoli e Betty Curtis. Ma secondo si piazza, a sorpresa, proprio Celentano. Come due mondi che convivono, ma che presto si separeranno. In coppia con lui c’è Little Tony, sodale nell’amore per il rock.
Ma Celentano stupisce ancora cercando di liberarsi delle maglie che sente strette dell’industria fondando una sua etichetta discografica. Per darle il nome sceglie una parola che è storicamente associata a un significato negativo, cupo, inquietante: Clan, il Clan Celentano. È invece uno strano, allegro, incrocio di amici e parenti: il nipote-cognato Gino Santercole, la fidanzata Milena Cantù e amici di sempre come Ricky Gianco, Miki del Prete, Luciano Beretta, i Ribelli e Detto Mariano. Poi si uniranno Don Backy, col quale poi maturerà una tempestosa separazione, Pilade e altri.
Celentano capisce prima degli altri come stanno cambiando la struttura dell’industria discografica, i gusti del pubblico ed esplora con spregiudicatezza le possibilità del gioco di rimbalzo tra media e musica. Chi mai sarà la ragazza del Clan? cantano i Ribelli, dando il via a un mistero tanto inutile quanto divertente.
Sono gli anni di Pregherò, Il sole è di tutti, Mondo in mi settima, Stai lontana da me, Sei rimasta sola, Il tangaccio, Ciao ragazzi, Il problema più importante, Grazie prego scusi, Il ragazzo della via Gluck, La coppia più bella del mondo, Tre passi avanti. Ogni disco che esce è un successo garantito. E se si chiudono gli occhi e si torna con la memoria a quel tempo non si può non organizzare il ricordo dell’atmosfera degli anni Sessanta senza le madeleines sfornate da Adriano giocando su vari registri creativi. Diversamente da altri protagonisti di quella incredibile stagione felice della musica italiana, Celentano riesce ad alternare pezzi più intimi con altri più ritmati. È lui, con la sua voce inconfondibile, a legare quelle diversità, a renderle un tutto unitario.
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25/07/2025 – Corriere.it




