Celentano sindaco? Musica tra le macerie
di Paolo Granzotto
Lanciata dal mâitre-à-penser Mario Capanna, la candidatura di Adriano Celentano a sindaco di Milano non è poi una cattiva idea. In città, ha lamentato il Molleggiato, «manca la musica delle persone» e anche se non si capisce bene cosa ciò significhi ci sembra giusto che qualcuno provveda: dove c’è musica c’è festa. Il soccombente Filippo Penati aggiunge che la disponibilità di Celentano altro non sarebbe che «un atto d’amore per la città». Buono. Musica e amore, cosa volere di più? Ci sarebbe poi questo fatto della lettera a rendere ancor più desiderabile l’ingresso del cantante/pensatore a Palazzo Marino. Dice, il cantante/pensatore, che «dobbiamo riscrivere la lettera della storia perché il mondo è una lettera». Magari raccomandata. Magari pure con ricevuta di ritorno. Possente metafora, quella sfornata lì per lì dal Molleggiato. Col suo bel messaggio: oggi nessuno scrive più lettere, al massimo degli sms. Dunque orsù, si riprenda carta e penna e ci si dia «uno scatto forte».
Non che Celentano abbia già d’ora detto di sì, però non s’è nemmeno tirato indietro. Nel caso glielo chiedesse una «voce elevata» (e dunque non un quaquaraquà come Mario Capanna) ammette che gli «subentrerebbe la coscienza». E a quel punto «mi dovrei piegare a questa richiesta». Le voci elevate della sinistra, perché solo a quelle il Molleggiato presta orecchio, sono dunque avvertite: su richiesta, Adriano Celentano si piegherebbe. In tal caso, la notizia farebbe il giro del mondo alimentando l’ammirazione per il Made in Italy e incrementando la stima, il rispetto e la considerazione che all’estero hanno di noi. Milano, la capitale morale, la città più europea del Belpaese si regala un podestà alla sua stazza e alla sua altezza: il ragazzo della via Gluck. Mica male. Andando sul concreto, Celentano ha voluto anticipare quali sarebbero le sue mosse, in che cosa si tradurrebbe, ove eletto sindaco, lo «scatto forte»: «Tutti uniti nel distruggere e rifare la città». Quindi fatti. Non parole: fatti. Giù tutto e poi, diradatosi il polverone provocato dalle macerie, su di nuovo tutto. Perché così com’è Milano è brutta, piena di grattacieli «che di per sé magari non sono nemmeno un problema, ma non riescono a disegnare un nuovo volto della città». Ch’egli sicuramente prefigura, dopo averla rasa al suolo, fiorita di villette a schiera con praticello condominiale, chalettini svizzeri coi gerani al balcone e, va da sé, quel po’ d’Africa in giardino, tra gli oleandri e il baobab.
Sembrerebbe – e qualcuno già avanza l’ipotesi – che quella di Celentano sia una solita, trita e ritrita «provocazione». Ma noi tutti sappiamo per esperienza diretta che il Molleggiato non parla mai a caso. E anzi, riflette a lungo – le sue pause fra una parola e l’altra possono assumere tempi biblici. Per dirti che a casa stanno tutti bene è capace di prendersi un intero pomeriggio – prima di proferir verbo. Quindi non prenderei tanto alla leggera l’ipotesi di una sua discesa in campo. Anche perché le «voci elevate» della sinistra le conosciamo, sapendole alla canna del gas e quindi sempre ben disposte verso soluzioni e candidature pop in grado di sparigliare le carte rimandando la resa dei conti. In quanto al nostro iniziale apprezzamento, all’aver affermato che un Celentano sindaco di Milano non sarebbe poi così male, esso non si riferisce ovviamente alla sindrome del bulldozer, alle smanie di radere al suolo la città. Ma alla curiosità, che probabilmente resterà inappagata ma pazienza, di vedere il Molleggiato, chitarra ad armacollo, dare il la alla «musica delle persone». Dalla Milano da bere alla Milano da suonare: sarebbe il massimo.
14/05/2010 – Il Giornale