L’allarme plastica nel Mediterraneo
Tra le onde del Mediterraneo si trovano tra le mille e le tremila tonnellate di plastica galleggiante. Un frammento ogni quattro metri quadrati

(Alan Bachellier/Flickr)
Bottiglie, piatti, bicchieri. E soprattutto piccoli rottami di plastica che galleggiano sulla superficie del Mediterraneo. Il Mare Nostrum è sempre più invaso dalla plastica. Secondo uno studio pubblicato dalla rivista PLoS ONE ad aprile 2015 da un team di ricercatori spagnoli, tra le onde del Mediterraneo si trovano tra le mille e le tremila tonnellate di plastica galleggiante. Un frammento ogni quattro metri quadrati. Piccoli pezzi di plastica, che sono stati trovati anche nello stomaco di pesci, uccelli, tartarughe e balene.
Ogni anno nel mondo si producono circa 250 milioni di tonnellate di plastica. Una parte si disperde sulla Terra, ma una grande fetta finisce in mare e lì resta. Per fare qualche esempio, i frammenti di una bottiglia di plastica resteranno nell’ambiente tra i 450 e i mille anni. Quelli di una busta persistono dai 100 ai 300 anni a seconda dello spessore.
I frammenti di una bottiglia di plastica resteranno nell’ambiente tra i 450 e i mille anni. Quelli di una busta persistono dai 100 ai 300 anni a seconda dello spessore.
Gli scienziati hanno individuato cinque aree degli oceani in cui si concentrano i rifiuti di plastica di tutto il mondo. Le correnti oceaniche trasportano la plastica dalle coste verso le spirali (gyres) in Oceano aperto, dove si trovano chilogrammi e chilogrammi di plastica per chilometro quadrato. Cinque isole costruite di bottiglie, buste e tappi. Ma il Mediterraneo non è da meno. Va considerato che, al contrario degli oceani, è una sorta di grande baia semichiusa circondata da Paesi che fanno un usi intensivo della plastica. Sulle coste del Mare Nostrum vive il 10% della popolazione costiera globale. E il bacino è tra i più affollati di tutto il mondo da navi di ogni tipo, oltre che il luogo di sbocco di fiumi, come il Nilo o il Po, che attraversano zone molto popolate. In più, il Mediterraneo è collegato all’Oceano solo attraverso lo stretto di Gibilterra, con tempi di ristagno dell’acqua anche di centinaia di anni. Il risultato è che finisce quindi per essere una delle zone più grandi di accumulo di plastica a livello globale, proprio come il cosiddetto Great Pacific Garbage Patch nell’Oceano Pacifico.
L’87,7% della plastica trovata nel Mediterraneo è composta da frammenti o oggetti rigidi. Più dell’80% è fatto di pezzetti di meno di 5 millimetri di lunghezza. Un danno altissimo, secondo gli scienziati, visto che il Mediterraneo, pur rappresentando meno dell’1% degli oceani, racchiude tra il 4 e il 18% dei tutte le specie marine al mondo. «Per questo motivo il possibile impatto dell’inquinamento da plastica potrebbe essere particolarmente rilevante», scrivono.
Le indagini in mare hanno permesso di rilevare frammenti di plastica di piccole dimensioni nelle zone costiere del nord-ovest di Italia, Francia meridionale e Sardegna occidentale. I ricercatori sottolineano che «questi studi hanno riportato concentrazioni che vanno da decine di migliaia a centinaia di migliaia di oggetti per chilometro quadrato, il che suggerisce una presenza abbondante di detriti di plastica galleggianti nel bacino».
L’inquinamento marino della plastica, dicono gli scienziati, si è diffuso fino a diventare un problema su scala planetaria dopo solo mezzo secolo di diffuso utilizzo dei materiali plastici, facendo emergere l’urgenza di strategie per affrontare questo problema. La pulizia delle spiagge potrebbe essere particolarmente efficace nel Mar Mediterraneo, ad esempio.
Legambiente ha condotto quest’anno un monitoraggio su 54 spiagge del Mediterraneo, di cui 29 in Italia e 25 negli altro Paesi costieri. Da noi, si trova più plastica. Nei litorali italiani, i rifiuti di plastica costituiscono l’80% della spazzatura (contro il 65% dello scorso anno), ben sopra la media del 50% degli altri Paesi. Le prime in classifica sono le bottiglie di plastica (12,5%), a seguire tappi e coperchi sia di plastica sia di metallo (8,6%), shopper di plastica (7,3%), mozziconi di sigarette (5,5%), rifiuti da pesca (3,8%), bottiglie di vetro (3%), lattine di alluminio (2,4%), piccole buste di plastica per alimenti (2%), contenitori di plastica (1,9%) e per finire siringhe (1,6%). I frammenti e i resti di plastica e di polistirolo dalle dimensioni minori di 50 centimetri sono i rifiuti più trovati (23,5%). Mentre tra i rifiuti integri rinvenuti da Legambiente prevalgono bottiglie di plastica per bevande (10,3%), tappi e coperchi di plastica e metallo (6,9%), nasse, reti, strumenti da pesca e cassette per il pesce (6,5%).
Un dato rilevante è quello relativo ai sacchetti di plastica, che in Italia rappresentano meno del 2% sul totale dei rifiuti trovati, mentre negli altri Paesi si sale al 7 per cento. Una differenza, spiegano da Legambiente, dovuta principalmente alla messa al bando italiano dei sacchetti di plastica non compostabili, che ha ridotto il consumo del 50% negli ultimi tre anni.
Quello che si legge anche su PLoS ONE è che il problema non è la plastica in sé, ma il mancato riciclo e recupero, che l’uomo ha trasformato in un pericolo per l’ambiente e la vita marina. L’ultima trovata per sensibilizzare l’opinione pubblica sul pericolo della plastica in mare è una scarpa interamente realizzata da Adidas con i frammenti in plastica delle reti da pesca trovati lungo le coste dell’Africa Occidentale. Un prototipo che anticipa una linea completa di sneaker e abbigliamento interamente riciclati. Tanto di materia prima ce n’è eccome.
05/07/2015 – Linkiesta.it