Dieci motivi per cui Celentano è un idolo
Scritto da Michele Lupetti
Rilanciato ancora una volta (ma ce n’era bisogno?) dalle repliche televisive del suo show musical – varietà – predicatorio Rock Economy Adriano Celentano è di nuovo al top della popolarità. Una fama che dura ininterrotta e senza ombre almeno dalla fine degli anni ’50, quando abitava nella Via Gluck e giocava al rock’n’roll rivaleggiando con la famiglia Ciacci (Little Tony e suoi affiliati).
Ma vediamo dieci motivi insoliti e/o meno noti e/o mai abbastanza sottolineati per i quali davvero Celentano, per quanto si possa amarlo o odiarlo, merita l’etichetta di genio o perlomeno quella di anticipatore… che comunque non è male.
E’ l’importatore del rock’n’roll in Italia. Nel 1955, a 17 anni, vede un film seminale (Blackboard Jungle, in italiano Il seme della violenza) e rimane folgorato da Bill Haley & the Comets. Decide di tirar su una band, i Rock Boys, e in breve tempo arriva a un contratto discografico. Per alcuni anni, per volontà del suo pigmalione Walter Guertler, propone cover di pezzi americani contribuendo alla diffusione del rock’n’roll nel nostro paese. Della banda di matti folgorati dal nuovo fenomeno musicale USA, una schiera di personaggi allucinanti che girano in quegli anni per il belpaese, è quello che riesce ad avere più successo ed è uno dei pochissimi che supera la moda e sopravvive. Passo dopo passo, fino a diventare immortale.
Come tutti i grandi artisti… ruba. Torquato il Molleggiato era in origine tal Alberto Longoni, poi più noto come Jack La Cayenne. E’ il 1956: una sera Longoni deve esibirsi in un locale, ma è bloccato dalla Polizia e non riesce ad arrivare: Celentano balla al suo posto e da quel momento Il molleggiato diventa lui.
E’ stato uno dei primi a scrivere per Mina. E’ il 1959 e confeziona per lei un rock’n’roll, Vorrei sapere perchè. Questa come perla, visto il futuro radioso che attendeva entrambi, vale quasi quanto i Beatles che regalano I wanna be your man ai debuttanti Rolling Stones.
Il primo (al mondo?) a farsi la propria casa discografica. La Apple dei Beatles, casa discografica creata dal quartetto per affrancarsi dall’industria discografica, nasce nel 1968 e viene considerata un’idea ultra-rivoluzionaria. Celentano l’etichetta Clan, di sua proprietà, per sè e una serie di artisti da lui selezionati e prodotti, l’aveva creata nel Dicembre del 1961. 7 anni prima.
Al cinema prima degli altri, oltre gli altri e meglio degli altri. Nel 1955 recita in I ragazzi del juke-box di Lucio Fulci, precursore di tutti i musicarelli futuri e immediato clone italico dei film elvisiani. Da lì perpetua un’attenzione costante. Nel 1964, addirittura, firma come regista Super Rapina a Milano. Dopo successoni quali Serafino, una parte ne Le cinque giornate di Dario Argento e tutta la fase Castellano & Pipolo e compagnia bella arriva a metà anni ottanta e ci regala la più grande perla della sua carriera: il magniloquente e delirante Joan Lui. Un capolavoro di genio e sregolatezza che tutti dovrebbero vedere.
Compare ne La dolce vita. Non lo sa quasi nessuno… anche perchè tutti parlano di questo film, ma in quanti davvero si sono sorbiti tutte le 3 ore che dura? Adriano canta Ready Teddy all’interno di un locale romano: al confronto gli Yardbirds ormai quasi Led Zeppelin messi da Antonioni in Blow up sono robetta.
Prisencolinensinainciusol. “Siccome avevo un disco in cui dicevo tante cose ho deciso di fare un canzone in cui non dicevo niente”. E’ il 1972 e Celentano getta il seme del rap adagiando su una base funky (genere in ascesa in quel momento, ma ancora poco noto in Italia) un cantato-parlato in una lingua tutta sua. L’operazione sancisce il diritto di non sapere l’inglese ma canticchiare lo stesso senza vergogna canzoni inglesi e, allo stesso tempo, prende in giro gli italiani che fanno troppo gli americani. Insomma: questo è un pezzo che senza dire niente riesce nel miracolo di dire tutto.
Azzurro. E’ vero, non l’ha scritta lui, ma Paolo Conte. Però molto del successo di questo brano è merito suo perchè assolutamente straordinario e innovativo è il suo modo di cantarla. Il brano, in un’epoca ancora contrassegnata dai generi e dagli steccati divisori fra essi, ha il merito di essere di nessun genere perchè non è un lento, non è un ballabile, non è un rock, non è un tango, non è un twist. Anche questa è rivoluzione.
Parla a vanvera, ma tutti lo prendono sul serio. Primo vero predicatore qualunquista della storia, 40 anni prima degli odierni eroi della supercazzola, ha da sempre fuso apprezzabili anticipazioni ecologiste con una massa inconcludente di banalità etico-morali-dietrologiche senza verso. D’altronde è Il re degli ignoranti ed è il primo ad ammetterlo: nessuno se ne è però ancora accorto e per questo, a 27 anni dagli imbarazzanti silenzi post-baudiani di Fantastico 8 e dalla lavagna in cui scrisse La caccia e contro l’amore (con la E senza accento), continua a godere dello speciale privilegio di avere gente che lo ascolta e, capendo poco di quel che dice perchè c’è davvero poco da capire, si sforza addirittura di interpretarlo.
S’è rifiutato di cantare “L’Italiano”. Premio dignità per questo: Cutugno l’aveva scritta per lui, ma lui gli disse No grazie. Grande Adriano, grazie. Se tu avessi convinto anche lui a non cantarla sarebbe stato meglio ancora, ma va bene lo stesso.
15/12/2014 – ValdichianaOggi.it – Il Pollo 2.0