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Una luce lontana…

I bambini di oggi, che vivono nelle città piene di luce, rischiano di non conoscere mai il vero fascino del cielo stellato. Le luci artificiali non schermate rischiarano il cielo, cancellano le stelle, impediscono al fuoco sacro che ha creato tanti astronomi e astrofili, di accendersi nell’animo di chi alza lo sguardo al cielo e non vede una stella. L’inquinamento luminoso spegne le stelle, costringe chi le ama a cercare posti sempre più isolati e lontani, chiude le porte a una delle passioni più antiche e più grandi dell’essere umano. L’esperienza che io ho vissuto e che ora tento di rievocare, è solo una parte di ciò che ognuno di noi rischia di perdere…

Vi racconto una delle più belle emozioni che io abbia mai provato, legata a un ricordo di tanti anni fa: ero un ragazzino di dodici o tredici anni, e in una freddissima notte di inverno, tutto chiuso nel mio giaccone pesante, sono uscito sul mio balcone con un binocolo in mano. Il cielo era pieno di stelle, le luci più forti delle città erano lontane sull’orizzonte, e dopo un po’ di tempo impiegato ad orientarmi, sono riuscito a trovare quello che cercavo: il quadrato di Pegaso, che si prolungava con una coda di stelle nella costellazione di Andromeda.
Ho puntato il binocolo, e dopo una breve ricerca in quella zona, ho intravisto tra le altre stelle un debolissimo bagliore, come una stellina sfuocata, un minuscolo batuffolo vagamente allungato e appena percepibile. Niente di spettacolare da vedere, ma sapendo cos’era, ho sentito il mio cuore battere più forte e il mio respiro diventare affannoso: era la galassia di Andromeda.
Tremava nel mio campo visivo, perché tenevo il binocolo in mano senza appoggiarmi a nessun sostegno. Prima di correre in casa a condividere la mia scoperta e a gridare la mia euforia, sono rimasto lì fermo, incantato, per non so quanti minuti, battendo i denti per il freddo e cercando di godermi fino in fondo quella visione così tenue, così evanescente e delicata.
L’emozione che sentivo, me ne rendevo conto anche allora, derivava da questo: osservando quella piccola luce tanto lontana, sapevo cos’era. Sapevo che si trattava di una colossale struttura di centinaia di miliardi di stelle, con un numero ancora maggiore di pianeti e chissà, forse anche qualche forma di vita. Una struttura così gigantesca, che per attraversarla tutta la luce impiegava più di 100.000 anni, pur viaggiando a 300.000 km al secondo. Eppure, quell’enorme spirale di stelle e di pianeti e di vita, mi appariva solo come un puntino, proprio quel puntino di luce che in quel momento io stavo osservando dal vivo, e che tremolava e sembrava pulsare nel silenzio di quella notte.
Sapevo che quella luce, proprio quella stessa luce che stavo osservando, stava entrando nei miei occhi dopo un viaggio di oltre 2 milioni di anni! Stavo osservando una luce partita quando non solo non esisteva ancora il mio occhio che ora la captava, ma quando ancora non esisteva nemmeno la civiltà umana, quando sulla Terra erano appena apparsi i primi ominidi! Quella luce si irradiava tutto intorno, sempre più lontano, superava gli spazi vuoti e si avvicinava sempre di più alla nostra galassia, penetrava tra le stelle e si avvicinava al nostro minuto pianeta, che nel frattempo stava diventando il teatro evolutivo della nostra specie.
Quella notte, sul balcone di casa mia, io ricevevo una parte di quel continuo segnale luminoso, assieme a tutti gli altri segnali delle stelle più vicine e delle galassie più lontane. Lo ricevevo pensando che lassù (o laggiù) poteva anche esserci qualcuno o qualcosa che stava invece ricevendo la luce emessa dalla nostra galassia, nella quale io ero solo un essere minuscolo, su un piccolissimo pianeta vicino a una piccola stella (il nostro Sole), indistinguibile tra le altre centinaia di miliardi di stelle.
Mentre osservavo con il binocolo la galassia più vicina alla nostra, io avevo piena coscienza di questo, sapevo che stavo osservando un’immagine vecchia di oltre 2 milioni di anni, e che di conseguenza vedevo Andromeda così com’era 2 milioni di anni fa! La luce, che in un solo secondo può fare 7 volte il giro della Terra, aveva impiegato tutto quel tempo per divorare un baratro di spazio spaventoso, giungendo fino a me e poi ancora più in là, disperdendosi in voragini scure che non oso quasi immaginare. E continuava a farlo, emetteva di continuo altra luce, altre radiazioni che si disperdevano nello spazio e nel tempo, mischiandosi a quelle di altri miliardi di galassie: guizzi di luce, fiochi bagliori ingoiati dall’immensa tenebra dell’universo.
Non so se voi ora, leggendo le mie parole, riuscite a provare la stessa sensazione che io provai allora. Ma vi assicuro che per me è stato qualcosa di meraviglioso, uno stupore di bambino che si mischiava a un’angoscia di uomo. Avevo addosso un’euforia che mi toglieva il fiato, che mi faceva quasi venire le lacrime agli occhi. Provavo anche sgomento, nel penetrare con gli occhi e con la mente qualcosa di così… ignoto, sconfinato, pieno di mistero. Ma la stupenda vertigine che sentivo, lo stupore che mi aveva preso, era più forte di tutto il resto. Guardando tanto lontano da me, mi sentivo spinto per qualche ragione a guardare anche dentro di me, e cominciavo a chiedermi chi ero. Mi sentivo piccolissimo nel corpo, ma con la mente cavalcavo l’infinito. Era bellissimo. Non sentivo più neanche il freddo. Soffiavo nuvole di vapore dalla bocca, e vedevo negli oculari del binocolo quel remotissimo bagliore, quel leggero tremolio che proveniva da una profondità immensa, da un abisso incredibile dello spazio e del tempo. Mi veniva da scuotere la testa e pensare: che cos’è, che cos’è tutto questo spazio, che cos’è questa cosa che vedo, che cos’è questa cosa in cui siamo immersi!? E nel pensarlo, volevo sondarne i limiti estremi.
E’ bello pensare che tutti, in una qualunque notte limpida di fine autunno o di inizio inverno, ma non troppo vicino alle luci della città, possono guardare verso l’alto, cercare quel nebuloso bagliore e ripetere la mia stessa esperienza, provando per un attimo qualcosa di simile alla mia eccitazione. E’ una visione incerta, sfumata, incantevole. E’ un brivido che rimane dentro. A pensarci, nonostante il freddo di quella notte che ho tentato qui di rievocare, e che mi arriva ancora a tratti da quel lontano ricordo, io provo un piacevolissimo calore. Vedo ancora una luce che palpita, che tremola, sperduta in una notte senza fine.

Maurizio

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