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Da “Articolo 21” quotidiano on line

Vi segnalo questo articolo, dal contenuto, a mio avviso, ineccepibile.

Paolo

Vorrei una tv che sapesse raccontare la realta’, come il lavoro, e dia spazio ai soggetti oscurati

La straordinaria performance di Fazio con Celentano e il successo delle dirette sulla manifestazione di Piazza San Giovanni (così come il record di ascolti che La 7 toccò cinque anni fa con la diretta della manifestazione con Cofferati al Circo Massimo) parlano lo stesso linguaggio, pur se, ovviamente, si tratta di eventi televisivi del tutto diversi tra loro. Esprimono il bisogno di una televisione di qualità, che non è per niente l’equivalente di tv noiosa, ma al contrario di una tv che sappia coinvolgere, emozionare, spiegare, divertire. Una tv che sappia insieme raccontare la realtà ( e piazza San Giovanni era un pezzo della realtà dell’Italia di oggi) e trasmetterci il piacere del bello (uno show come quello di Fazio e Celentano).
Secondo me la qualità in tv è questo: nient’affatto una noiosa rassegna culturale ma _ l’ ha ricordato di recente il nuovo responsabile per l’informazione dei Ds, Roberto Cuillo _ quell’impasto di cultura alta e cultura bassa che è la materia di cui è fatta la televisione. Ciò che significa restituire un senso alla dimensione “popolare” che è connaturata alla televisione generalista e commerciale. Ma popolare vuol dire per forza brutto, volgare, scemo? Fiorello e Celentano, Mike Buongiorno e Pippo Baudo, Maurizio Costanzo, Fabio Fazio e Michele Santoro, per fare esempi diversissimi tra loro, dimostrano che non è affatto così.
Io non accetto che la televisione che nascerà dalla rivoluzione digitale si divida in una tv per il popolo, gratuita e volgare _ una cattiva tv _ e una tv di qualità a pagamento per i ceti medio-alti.
Per questo ho citato eventi così diversi, ma potrei aggiungere anche le grandi fiction; o ricordare che si può anche sfidare la prima serata con reportage (per esempio su Falcone e Borsellino) con risultati lusinghieri, senza alcun bisogno di trasformare l’informazione in un circo di nani e ballerine.
Dunque, che cosa deve ancora fare il pubblico per segnalare che “un’altra tv” è non solo possibile ma anche una necessità del mercato? Sì. Proprio del mercato, quello così tanto e spesso a sproposito citato come la panacea di tutti i mali, salvo che nei casi in cui servirebbe davvero. Mi spiego: dubito che più mercato nella sanità e nell’istruzione si traduca in migliori servizi per i cittadini e invece sono convinto che più mercato nel sistema radiotelevisivo significhi esattamente una migliore offerta per il pubblico.
Avvenne così nel periodo della maggior concorrenza tra Rai e Mediaset quando la televisione pubblica smise di demonizzare la tv commerciale e cominciò a confrontarsi sul suo terreno, sfidandola anche sull’intrattenimento. In tv infatti la qualità non può che nascere dal pluralismo di generi, di voci, di punti di vista. E un ruolo speciale spetta alla tv pubblica, soprattutto in questa fase di rivoluzione tecnologica: non può che essere la Rai a guidare la rivoluzione digitale, imprimendo al mercato quello scatto che ancora non c’è. La televisione digitale terrestre, infatti, non può essere pensata prevalentemente come piattaforma a pagamento, al contrario deve essere la televisione per tutti che però potrà moltiplicare la sua offerta, creando uno standard di qualità che impedisca quella divisione tra tv generalista (brutta, sporca e cattiva) per il popolo e tv a pagamento, dove migrano i contenuti migliori, ma solo per chi se li può permettere.
Più mercato significa dunque più soggetti proprietari, più autori che si confrontano, più informazione e spazio non solo per le diverse opinioni ma anche per i soggetti oggi oscurati. Ciò serve alla tv, anche al sistema paese. Per esempio _ riprendo volentieri il tema lanciato dal ministro Damiano e da Articolo 21 _ una tv che raccontasse il lavoro: quello che c’è e quello che manca, quello che emerge e inventa nuovi prodotti e quello sommerso che uccide quanto una guerra civile, una tv così non aiuterebbe forse il paese a crescere, a modernizzarsi a diventare insieme più giusto e più competitivo?

*Vicedirettore Tg la 7, responsabile Progetto News sulla DTT

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