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Auguri ad Adriano e Claudia per i loro cinquantacinque anni di matrimonio!

Adriano Celentano e Claudia Mori a braccetto di spalle

Adriano Celentano e Claudia Mori festeggiano cinquantacinque anni di matrimonio. Nel fargli i nostri migliori auguri, ripercorriamo le tappe del loro innamoramento, durante le riprese del film Uno strano tipo, girato nel 1962, attraverso il racconto dello stesso Adriano:

PRIMO INCONTRO
Secondo me, la donna ideale che io cercavo era come Claudia. E, quando l’ho conosciuta, ho capito che era lei, perché aveva tutti i requisiti, cioè, i suoi requisiti corrispondevano al mio disegno. Appena io l’ho vista devo dire che sono rimasto… Mi è piaciuta subito, immediatamente. Di colpo, ho visto in lei tutto, tutto. Quando è arrivata ad Amalfi, sul set di Uno strano tipo, non la conoscevo (…) Mi ricordo che quando è entrata stavamo mangiando alla mensa. Mi sono alzato. Appena l’ho vista, non so, ho capito che era la donna giusta per me, e ho fatto subito una battuta e si sono messi a ridere tutti quanti. Anche il regista. C’era tutta la troupe a mangiare, e gli amici. Allora, io mi sono subito alzato. Ho detto: “Signorina, si sieda qui, in mezzo a noi”. E lei ha detto:”No”, dice, “vado più avanti”, dice, “ho già il posto là, dove c’è la troupe”: Rideva.

AL TRUCCO
Il giorno dopo, io dovevo girare con Claudia. Avevamo la sveglia alle sette, tutti e due. Io, al mattino, faccio sempre un po’ fatica a alzarmi e, quindi, sono andato al trucco quasi con gli occhi chiusi. Sono andato. E, lei, era già là che si stava truccando. Seria, molto seria. E io la guardavo (…) Dicevo: “Porca miseria! Certo questa qua è proprio forte, eh!” (..) E allora ho cominciato a dire: “Senta”, ci davamo del lei ancora, ho detto, “lei lo sa che, in questo film, mi deve baciare?” E lei, molto seriamente, senza ridere, dice: “No, no, guardi, lei ha letto male il copione, sa?” Dico: “Come? Letto male il copione?” E lei: “Io non devo dare nessun bacio, non devo neanche sfiorarla con un dito”. “Ohei”, dico, “oh bella! Eppure, a me risulta che lei deve baciarmi. adesso io vado a guardare il copione… Ma perché, se dovesse baciarmi cosa fa? Non mi dà un bacio? Se sul copione c’era scritto di darmi un abcio non me l’avrebbe dato? “Eh!” fa lei, “no di sicuro!” Dico (…) “Questo si dovrà vedere. Lei, è appena un giorno che è arrivata, e dovremo passare due mesi insieme. Lo sa quante cose possono succedere, in due mesi?” Allora lei dice: “Sì, certo”. Dico: Sarà proprio da vedere. Comunque, io, se fossi al posto suo, non mi farei illusioni”. E lei subito: “Non me ne ero fatte tante, ma, comunque, adesso che ho parlato insieme a lei, invece, comincio a farmele. “Be'”, dico, “intanto io mi addormento un po’.”
Ero contento di aver fatto questo dialogo, perché ridevano tutti, tranne lei. Lei non rideva mai. Invece, il truccatore, la parrucchiera ridevano, perché c’era una specie di duello, dal primo giorno, subito, così di colpo.

A CENA
Claudia mangiava in una stanza col regista e qualcun altro dell’organizzazione. Un un’altra stanza, le stanze erano comunicanti, mangiavamo noi del Clan (…) Poi, fra l’altro, noi dormivamo tutti nella stessa stanza, avevamo due stanze comunicanti, dove io e Dino Pasqua di Bisceglie dormivamo nel letto matrimoniale assieme (…)
Il giorno dopo, mangiavamo, ancora, noi di qua, e loro di là. Però, il terzo giorno arriva il produttore, che era Giovanni Addessi che è morto. Era molto simpatico, un napoletano. E lui si è seduto là. Lui aveva molta simpatia per me: “Adria’”, dice, “e vieni qua, vieni qua con noi. Che fai lì?” “No, be’, io sto con loro…” “Ebbe’, sono arrivato io, vieni qua… No?” dice lui. E allora ho detto:”Be’! ragazzi, vado là a mangiare per stasera” (…)
Sono andato a mangiare di là, e di fronte a me, c’era il produttore, e a fianco a lui, sempre di fronte, c’era Claudia. Mangiando, ho cominciato a dire delle battute, e ho visto che Claudia, ogni volta che dicevo una battuta, rideva molto. Allora, questo fatto che lei rideva, già mi divertiva, cioè ero contento. E dentro di me ho detto: “Caspita! Se ride così, devo essergli simpatico, e questo è già un bel passo”. Così ho rafforzato la dose: mi ero quasi scatenato, una battuta dietro l’altra. Lei rideva moltissimo, fino al punto che dice: “Lo sai che non ho mai riso tanto?”.

LA DICHIARAZIONE
Quella sera delle risate al ristorante, quando siamo usciti, c’era un vento molto forte, e c’era il mare agitatissimo. Però il cielo era limpido e pieno di stelle. Il nostro albergo era situato a metà montagna, con una grande vetrata dove si vedeva il mare. E allora, niente, siamo andati a casa, poi abbiamo parlato ancora nella hall dell’albergo.
Poi uno alla volta, tutti andavano nelle loro camere a dormire. E, io e lei, siamo rimasti ancora lì, davanti a questa vetrata, seduti, così. Lei ha detto: “Quando c’è il vento forte”, perché c’era un vento forte, proprio, vuuuuuuu si sentiva, “quando c’è il vento così forte, io ho un po’ paura a dormire… Fra l’altro, ‘sta notte non c’è neanche la sarta, che di solito dorme con me e mi fa compagnia”. Allora ho detto: “Ma non preoccuparti. Stiamo qui fino a quando tu non hai più paura. Poi tu vai a dormire, e io vado a dormire”. Abbiamo parlato tutta la notte. Abbiamo fatto l’alba lì, sempre toccando argomenti di cose: lei quand’era piccola, io quand’ero piccolo. Abbiamo parlato anche delle ragazze, se io avevo delle ragazze, ma non abbiamo mai sfiorato l’argomento diretto, fra di noi. Però, è logico, che io, durante la notte, mi sono accorto che, insomma, a lei gli ero simpatico, forse qualcosa di più anche, e lei, naturalmente, si era accorta della stessa cosa, perché è logico. A un certo punto, stava spuntando l’alba. Ho detto: “E’ arrivata l’alba, andiamo a dormire”, perché altrimenti poteva pensare che stessi lì ad aspettare che mi invitasse nella sua camera. Per non darle questa impressione che, secondo me, avrebbe rovinato tutto, ho aggiunto: “Adesso non hai più paura, però”. “No, adesso no.” “Be'”, dico, “forse è meglio che vai a dormire. Poi, vedo che sei stanca, anche.” Dice: “Sì, adesso sono un po’ stanca”. “Comunque, se dovessi aver paura, fai il mio numero di telefono, tanto io, a parte che mi addormenterò fra un’ora, mi chiami, e torniamo ancora giù. E continuiamo a parlare fino a mezzogiorno”, ho detto. Allora, lei si è messa a ridere ancora. Ci siamo salutati: “Ciao, be’, ci vediamo. Chi si sveglia domani, con questo sonno?” Le solite battute così, e lei è andata in camera sua.
Io sono andato in camera mia. Mi sono infilato nel letto, che c’era assieme a me il fonico, Dino Pasqua di Bisceglie. Lui si è svegliato, e mi fa: “Ciao, Adriano. cacchio, tu hai fatto qualcosa!” Ho detto: “No, non ho fatto niente. E poi, non volevo neanche far niente”. Dice: “Però, porco cane, bella quella lì, sai che…” Ho detto:” Bella, sì”. Fa: “E a te piace, eh?” E ho detto: “Cacchio, mi piace sì! Anzi, adesso glielo dico.” “Come?” “Eh, niente, le telefono e glielo dico.” E, allora, lui appena ha sentito così: “Ah, aspetta che mi sveglio un attimo”. Si è tirato sul letto: “Tu cosa vuoi fare?” “Niente, le telefono e glielo dico.” “Dai, mi sembra una buona idea.” Allora io ho preso il telefono, e ho chiesto: “Mi passa la camera trecentododici?” E lei era al telefono. Allora ho detto: “Claudia, senti, io so che è una cosa che non ha, che non avrà nessun seguito perché… perché è così. però, dato che mi è successa una cosa, e io non so a chi dirlo, c’ho un cretino qua, vicino a me, che è anche mezzo addormentato, ho provato a dirglielo a lui, si è svegliato, è rimasto un po’ sconvolto, ma, secondo me, non basta. Forse è meglio che lo dica a te”. Silenzio. Dopo un po’ lei dice: “Dimmelo”. “Niente, volevo dirti che mi sono innamorato di te. Ciao, buonanotte.” “Aspetta!” Ho detto: “Sì?” Dice: “Anch’io”. Ho detto: “Caspita! Ma, aspetta, siamo sicuri che siamo svegli?” “Stavo pensando la stessa cosa”, dice lei.

IL BACIO
Il giorno dopo era bellissimo sul set: io e Claudia ci guardavamo con un altro occhio. Tutto era cambiato. Sembrava che tutti, di colpo, si fossero accorti che c’era stata una fusione fra noi due, proprio ufficiale. Eppure, nessuno sapeva niente. L’unico, che aveva sentito qualcosa, era Dino. Io, però, ero talmente contento che sentivo il bisogno di raccontare quello che mi era capitato (…)
Poi c’era un altro passo da fare, che era difficile per me e Claudia. Dopo la dichiarazione reciproca, non riuscivamo a trovare la maniera per darci un bacio. Erano passati quattro o cinque giorni, e io ero emozionato, e lei anche (..) Allora, mi ricordo che le ho detto: “Senti. Io vado su a farmi una doccia. Quando tu hai finito, vieni su un attimo, che così mi aspetti, io mi cambio, poi dopo andiamo a mangiare assieme”. Dice: “Sì”. Allora, c’erano i miei amici, che dormivano con me. Ho detto:”Ehi! Ragazzi, andate fuori dalle balle qua, perché fra poco arriva Claudia e, se ci siete voi, io non riesco neanche a farle una carezza (…)”
Allora, dopo un po’ sono andati via, e io sono rimasto solo, e dopo un po’ arriva lei. Arriva lei, e dico: “Ciao”. Io ero già pronto, e c’era un disco di Ray Charles sul giradischi, avevo creato un pochino d’atmosfera. Io, nel frattempo, mi stavo strascervellando per trovare il modo, per trovare un attacco, un aggancio, così, per… Però, non mi veniva e, allora, mentre lei si era seduta, lei diveva: “Bello questo disco”. E io: “Poi, dopo, te ne faccio sentire altri”. Io cercavo di occupare gli spazi vuoti, col parlare, col giradischi, così, e lei, intanto, si era seduta sul letto. Non parlava. Lei non parlava. Allora, io mi mettevo la giacca, me la toglievo, l’infilavo nell’attaccapanni, la spazzolavo; poi la rimettevo dentro. Poi tiravo fuori i pantaloni, poi riprendevo ancora la giacca, e credo che, forse, lei si sarà anche un po’ accorta, di questa cosa qui. Se non che, a un certo punto, mi sono detto: “Be’, ma cosa faccio? Sto qui, fino a domani, a fare ‘sta cosa qui, della giacca? Avanti! Va lì adesso. Come viene viene.”. E mi sono seduto vicino a lei, e ho detto: “Bello ‘sto disco”. Dice: “Sì, bello”. Poi, l’ho guardata un po’, le ho toccato le braccia, e ho detto: “Caspita, ma tu sei forte!” (…) E lei ha detto: “No, ma che forte?!” “No, no, secondo me tu sei forte”, dico. “Anzi, io penso che se facciamo il braccio di ferro, io e te, penso che tu vinci.” “No, è impossibile, tu sei un uomo.” “Io sono un uomo, ma non sono tanto forte di polso, vedi, c’ho il polso che si piega.” Le ho fatto vedere la mano che si girava indietro, e dico: “Proviamo un attimo, per curiosità.” “Proviamo”, dice lei. E, allora, abbiamo provato, e il braccio di ferro ci ha aiutato un po’, perché io ho fatto finta di perdere. Nel perdere, automaticamente, mi avvicinavo a lei, tanto che avevamo le labbra proprio vicine, e lì ci siamo baciati. E, poi, dopo, quando ci siamo baciati, io ho mollato il braccio, e, dopo, ci siamo scatenati. Nel bacio, intendo. E poi da lì, niente, è andato avanti tutto bene.

Antonio

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