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Adriano Celentano in trenta dichiarazioni

Adriano Celentano ai microfoni di Radio AUT

La scintilla fu quando a quattro anni, mentre giocavo nel cortile al 14 di via Gluck, vidi un raggio di sole. Una parte del cortile era illuminata mentre l’altra metà era in ombra. Iniziai a rotolarmi felice tra la parte illuminata dal sole e l’ombra. Avevo i pantaloncini corti tutti sporchi, erano più grandi della mia taglia, forse appartenevano al maggiore dei miei fratelli, Alessandro, quand’era piccolo. Con una bretella giù e l’altra al suo posto, come solo gli scugnizzi sanno indossare. Scalzo. Scarmigliato, con le guance rosse. Mentre mi rotolavo, mi fermai e mi sdraiai a terra con le braccia e le gambe aperte guardando il raggio di sole che illuminava il cortile che a me sembrava bellissimo. M’inchinai e baciai quel raggio. Avvertii, pur essendo così piccolo, quanto ero felice. Libero di correre sui prati. Di sporcarmi, senza temere nulla, protetto da tutta la famiglia e dai miei amici… Anche loro liberi e felici come me di correre sui prati. Poveri, certo, ma bastava stare insieme e condividere quello che c’era.
(2016)

Mi è sempre piaciuto tantissimo Clark Gable, mi incantava il suo modo di muovere le mani e la sua espressività. Poi mi hanno sempre letteralmente incantato attori/ballerini come Fred Astaire e Gene Kelly. L’importante quando copi, quando ti rifai a qualcuno è poi superarlo, realizzando qualcosa di personale.
(2008)

Io non volevo fare il cantante, volevo fare il ballerino. Ho preso anche delle lezioni di tip tap, quello di Fred Astaire: andavo sempre al cinema a vedere i suoi passi. Era straordinario… Chi ha nella testa un po’ di follia esce dal cinema e vorrebbe essere come gli attori che ha visto. Io uscivo dal cinema, sgambettavo e cercavo qualcuno che mi insegnasse a ballare. Ho preso anche delle lezioni da un toscano che era stato in America: era bravissimo, mi aveva insegnato quattro o cinque chiavi di ballo. Ma quando ho cominciato a cantare ho smesso.
(2007)

Devo molto a Bill Haley, è stato il mio ispiratore per anni. Il mio unico cruccio è quello di non averlo mai visto dal vivo. Copiavo le sue canzoni, poi, diventato io famoso e lui ormai dimenticato, ho acquistato le edizioni di quelle vecchie canzoni.
(anni ’80)

Perché vesto così? Così come, domando io. Non mi pare di vestire in modo bizzarro. Qualche volta esagero, è vero, però vedo che mi stanno bene addosso i miei vestiti. Credetemi: sarò veramente bizzarro ed originale il giorno in cui metterò la cravatta. Non è l’abito che fa il monaco. Ciascuno veste come suggerisce il proprio gusto, la propria sensibilità. Fate anche voi così: uscite di casa e acquistate qualunque cosa vi piaccia subito, a prima vista, senza pensare a cosa dirà poi la gente. Non solo vi ritroverete anche voi con un guardaroba pieno di fiori e di colori, ma scoprirete che diversamente non vi sarà più possibile vestire.
(1968)

Non smetto mai di ringraziare Dio: è Lui che regola le mie giornate, i miei pensieri, i mie impegni. Senza di Lui non sarei nessuno, non ho paura a riconoscerlo.
(1998)

Qualcuno, spesso, sorride della mia dichiarata religiosità, della mia fede in Cristo. Qualcuno arriva a sostenere che sono soltanto un furbo, quando non dice di peggio. Eppure non credo di essere stato mai incoerente, anche quando si parla di soldi, e della evangelica povertà, di cui sarei paladino solo a parole. Lo sanno tutti che potrei essere cinque, dieci volte più abbiente di quello che sono. I “denari” (per dirla con un termine “evangelico”) mi sono sempre serviti per costruire o mettere su qualcosa dove altra gente potesse lavorare con me. Spesso ho sbagliato, molti mi hanno deluso o derubato, ma ne è valsa la pena comunque.
(1977)

Io mi metto lì e suono fin quando sento qualcosa, un motivo che mi piace. Nel momento in cui ho trovato uno spunto buono ci lavoro, son capace di stare giorni sulla chitarra. Quindi riunisco Miki Del Prete e Luciano Beretta (i miei autori di fiducia) e ci mettiamo insieme a fare i versi, sviluppando un tema che interessi la gente. Non abbiamo la pretesa di essere ispirati, usiamo parole di ogni giorno, reali e semplici, perché sennò la gente si limita a dire “questa qui è soltanto una bella poesia” e magari non la canta. La cosa però che colpisce prima è la musica, poi viene il testo.
(1970)

Anche in “Chi non lavora non fa l’amore” volevo dire qualcosa di diverso da quello che i critici hanno capito. Confesso però (e questo l’ho capito tardi) che il titolo della canzone era sbagliato e poteva dar adito a interpretazioni, come dice lei, “reazionarie”. Ma per il resto no.
(1975)

Forse esiste una sola grande canzone nell’universo, ma sempre diversa nel modo di proporsi.
(2001)

E’ chiaro che la notizia di un mio ritiro pubblicata da un settimanale era pura invenzione, la distorsione di una frase di mia moglie che, scherzando, aveva detto: “Io non lavoro più.”
(1973)

In casa nostra si parla, si discute, si decide in perfetta democrazia. Parecchie volte il mio punto di vista è stato mitigato, ridimensionato da Claudia. Sai, le donne hanno un’intuizione maggiore degli uomini.
(1974)

Sono contentissimo del successo di Claudia. Però non mi aspettavo che proprio “Buonasera dottore”, tra tutte le canzoni dell’LP di Claudia, piacesse tanto. Anche altre canzoni avrebbero potuto avere lo stesso successo.
(1975)

La perfetta felicità terrena è quando un uomo, o una donna, incontra una perfetta armonia col compagno.
(1981)

Il mio primo applauso non l’ho mai cercato tra la gente, anche se ci tengo molto alla gente. Il primo applauso l’ho cercato da una persona sola, dalla donna che è innamorata di me. E Claudia, mia moglie, ha sempre rappresentato l’unico applauso. Non soltanto il primo, ma l’unico. Il primo di tutti gli applausi che sono venuti e che verranno.
(1982)

Io sono sicuro che la guerra mondiale scoppia quando gli americani o i russi sganciano i missili per far bella figura nei confronti della moglie. Parossismo a parte, credo che una vita a due mal vissuta faccia ammalare, come un bacillo, tutta la realtà che la circonda, tutta la società.
(1983)

Il sesso è una cosa così importante che io non faccio fatica quando immagino che avviene fra uomo e uomo, o tra donna e donna. Io penso che tra uomo e uomo, e tra donna e donna, quando esiste vero sesso e vero amore, Dio non soffre. Se due uomini fanno l’amore insieme, e stanno bene insieme, Dio è contento, visto che la loro natura è questa.
(1982)

La sera i giornalisti avevano fatto irruzione nel mio camerino gridando: è un disastro, un disastro colossale che non ha precedenti nella storia della televisione. Andai a dormire, ero stanco e per tutta la trasmissione mi aveva tormentato quel tremendo mal di testa. Dormii profondamente e mi svegliai tardi. Claudia mi lesse i giornali, con i titoli cubitali in prima pagina: teledisatro, catastrofe a Fantastico, il tonfo di Celentano, spettacolo rozzo e improvvisato, varietà televisivo morto in diretta, tanto silenzio per nulla, pause incertezze improvvisazioni, così ha preso in giro quattordici milioni di italiani, gli italiani non vogliono Celentano presentatore, no caro Adriano così non va, Celentano non è del mestiere, è Celentano che deve cambiare, licenziatelo, mandatelo a casa, quanto è squallido il sabato del villaggio… Mi veniva da ridere, quei titoli non li avevo visti nemmeno per il terremoto e per la guerra in Vietnam. Mi trascinai in mutande e canottiera sulla poltrona e feci segno di mettere la cassetta con la registrazione e di accendere il televisore. Fatemela vedere, dissi. Mi stavano tutti attorno, gli amici in silenzio e Claudia un po’ triste.
(1988)

Certi giornalisti hanno la memoria difficile e la calunnia facile.
(1988)

Che si sappia che sono ben pagato, e che i giornali lo raccontino con tutti i particolari, magari esagerando, non mi è mai dispiaciuto. Anzi. Io sono il più bravo e il più pagato. Sono sempre stato il più pagato: per i dischi, per i film, per qualsiasi cosa abbia fatto. E mi fa piacere che si sappia e che i giornali lo facciano sapere, sia pure a modo loro, perché la bravura e il successo, e la fortuna che ne deriva, sono un segno di una benevolenza che aleggia nell’aria e che premia chi se la merita ed è un bene che la gente lo sappia e abbia davanti questi esempi.
(1988)

I giornalisti, i critici, gli opinionisti, erano stati smentiti e sconfitti su tutta la linea: Non potevano più parlare di teledisastro, di insuccesso, di qualunquismo, di cretinismo… Erano crollate tutte le loro ipotesi e tutte le loro previsioni, ed erano rimbalzati su di loro gli insulti e gli anatemi. Avevano chiesto a gran voce la censura, l’abolizione della diretta, il licenziamento e non avevano ottenuto nulla. Avevano sperato che la gente abbandonasse Fantastico e l’audience aveva continuato ad aumentare. E troppo tardi si rendevano conto che avevano fatto il mio gioco, mi avevano fatto cassa di risonanza.
(1988)

Franca mi aveva spedito la cassetta con la registrazione del monologo: quando l’ascoltai, non mi piacque soltanto il tema, il racconto dello stupro, ma anche il fatto che a raccontarlo era la stessa protagonista, la donna che l’aveva subìto e vissuto. Sapevo che era già stato dato in teatro, ma io ne avevo moltiplicato l’effetto per una platea di tredici milioni di spettatori, quanti non ne avrebbero potuto contenere tutti i teatri del mondo, e la stragrande maggioranza dei quali non l’avevano mai ascoltato e forse non erano mai andati a teatro. I professionisti, gli esperti, gli specialisti dei “dibattiti seri” avevano perduto un’altra occasione per imparare: per loro, questa volta, il qualunquista Celentano aveva esagerato nel senso opposto, aveva scelto un argomento troppo serio per il varietà destinato ai “pensionati analfabeti”. Non capivano che se avessi censurato la Rame, la sua presenza e il suo racconto, per rimandarla nel ghetto della “televisione intelligente” mi sarei reso complice dell’apartheid a cui la televisione condanna da trent’anni la maggioranza degli italiani.
(1988)

Mi sono reso conto che nella comunicazione moderna manca il polo che controbilancia la parola. Non vorrei scomodare i grandi sistemi, ma per esempio, nella corrente elettrica esistono due poli, positivo e negativo; nella comunicazione odierna manca la parte negativa: i silenzi e le pause, elementi indispensabili alla riflessione. Chi è che oggi parla di più? La televisione! Che per obbedire alla legge del business ci invia una quantità tale di flussi informativi da non consentirci pause di riflessione.
(1994)

La cosa brutta della stampa lo sai qual è? Nessuno riesce ad eliminare quella fastidiosa doppia lettura che alla fine si intravede in tutti gli articoli. E’ come se in ogni servizio giornalistico ci fossero due linguaggi, uno per la gente comune e uno per la cerchia più ristretta. Si parla tanto di cambiamento. Ma se la stampa, che è il megafono, non fa il primo passo per il cambiamento, chi vuoi che lo faccia?
(1994)

Il processo Cusani. Per me la vera televisione è quella, sono le immagini che scorrono e che ti propongono i silenzi di Forlani, le parole di Craxi, le espressioni di Antonio Di Pietro o quelle di Martelli, quando si confronta con Carlo Sama. Quando Martelli si ricorda tutti i particolari e Sama finge di non ricordarseli… quello è il punto più alto della televisione. Visto che la tv entra di prepotenza nelle case della gente, è bene che la gente veda queste cose. Sono immagini che le riguardano da vicino…
(1994)

La nube dell’orgoglio e dell’indifferenza si dissolve solo quando un amico scompare.
(1998)

A mio parere i computer hanno migliorato la qualità della musica.
(1999)

Quando esco di casa, mi dimentico sempre il portafogli. E capita puntualmente le volte che vado in autostrada: mentre sono in fila per uscire, mi accorgo che non ho una lira, vorrei fare inversione, tornare indietro.
(2001)

Mi piacciono le costruzioni d’avanguardia, futuribili, ma devono essere coerenti con il quartiere dove vengono edificate, e non mischiarsi e distruggere le zone antiche delle città, dove vedi spuntare tra le vecchie case un palazzone di trenta piani.
(2006)

Dentro di me c’è un vulcano che ribolle. Pensavo che col tempo mi sarei calmato. Invece no. Più vado avanti con gli anni e più mi sento pieno di vitalità. Vedrai che a cent’anni sarò più molleggiato di quando ne avevo diciotto.
(1974)

Fonti

Antonio

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