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Solo con «Azzurro» Adriano piace a tutti

Senonché, poi, l’Adriano si mette a cantare. E dici: eccola qui, la vera par condicio, quella che le leggi non dicono. Chiamatela musica, che mette d’accordo tutti e per questo è sempre politicamente scorretta, non conosce partiti o bandiere. Se la canta l’Adriano, poi, figurarsi: con quella voce che gli anni hanno reso misteriosamente più bella, giovane, empatica. Quella fervida assenza di enfasi. Quel ritmo cocciuto, che gli nasce dal cuore ed evoca appunto il pulsare del cuore.
Così attacca cantando «se penso se canto mi sento più vivo/ mi sento più forte se ti tengo la mano», l’Adriano, e le diatribe dileguano in fretta in uno spazio remoto, «io sono un uomo libero/ né destra né sinistra/ sogno ancora credendo di pensare», cantava lui stesso anni addietro, d’altronde, su testo di Ivano Fossati. Come dire: date il potere agli artisti e reimpareremo a sognare. Andremo a picco ma sarà, se non altro, un dolce naufragio. Questo par dirci l’Adriano, sirena sorniona, quando inasta il microfono e sull’onda di Be bop a lula riesuma utopie da flower power e vecchi miraggi ecologisti.
«Il cannone è lento i fiori sono rock – scandisce, col grande chitarrista Michael Thompson a fargli da spalla – la fanfara è lenta il rock è rock/ lo zoo è lento la foresta è rock», sugli schermi sfilano Jimi Hendrix, Little Richard, Prince, e Celso Valli accompagna con la sua orchestra: colto, dialettico, teatrale ma qua e là un po’ esornativo, era ancor meglio a suo tempo Fio Zanotti, più asciutto, divertito, terragno.
E ancora l’Adriano accoglie al suo fianco Luciano Ligabue, la star del momento e l’astro di sempre uniti dalla lieta complicità delle note.
L’ex consigliere comunale del Pci, venuto dalla laicissima Emilia, e il giullare di Dio figlio del cattolico sud, antidivorzista in La coppia più bella del mondo, antisciopero in Chi non lavora non fa l’amore, messia di complemento in Joan Lui. Eccola, la par condicio del cuore: la voce profonda di Luciano e la sua anima rockettara, il timbro dorato di Adriano e il suo senso asciutto ma tenace della melodia. Insieme in un’improvvisata versione in italiano di These boots are made for walking, umorale e tuttavia impeccabile. Ma a portare l’entusiasmo ai suoi vertici ci riesce meglio Azzurro, il capolavoro che nel 1968 Paolo Conte inventò appunto per Celentano che lo portò a clamoroso successo: ieri rifatta dall’Adriano col suo piglio circense e il suo spleen di provincia, «neanche un prete per chiacchierar», nel cortile deserto dell’oratorio, e intanto «il treno dei desideri/ nei miei pensieri all’incontrario va», ovazioni meritate in platea.
Il resto appartiene quasi tutto alle contingenze della cronaca e alle urgenze provvisorie della polemica politica, e/o del cabarettismo catodico: come la presa in giro che Maurizio Crozza riserva alla moda imperversante della musica ispanica. Ma qui siamo nella tivù che divide. Invece poi c’è la musica che unisce, e pochi come Celentano sono capaci a farla, con quel primordiale talento che nei decenni s’è fatto sempre più consapevole, e sorvegliato, e intenso. Tanto che dispiace perfino un poco, quando lascia la ribalta agli aretini Negrita, araldi del rock blues nostrano e rappresentanti, ieri, del «girone giovani» di Rockpolitik: bravi, genuini, per carità. Anche se non entreranno, par di intuire, nella storia del rock.

Cesare G. Romana

21/10/2005 – Il Giornale

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