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Prodi in Liguria contro Celentano

dal nostro inviato Alessandra Costante

«Guarda guarda: questa è bella. Leggi questo sms, mi scrivono se sono qui a fare l’anti-Celentano». Ride di gusto Romano Prodi nella sua giornata alle Cinque Terre ospite, insieme alla moglie Flavia, del presidente della Regione Liguria Claudio Burlando e del presidente del Parco Franco Bonanini. Fa centro, il premier: in effetti è come se il suo entusiasmo per Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso attenuasse le critiche al vetriolo del Molleggiato nazionale.

Fondate sul mare di bollicine nere di Bordighera. Ma questa è un’altra storia, dalla parte opposta della Liguria. Nasce per caso il mordi e fuggi del premier alle Cinque Terre, dai casi che la vita mette insieme. «Mia moglie mi aveva appena detto che le sarebbe piaciuto terminare le ferie alle Cinque Terre e subito dopo mi ha telefonato Burlando. Si vede che era destino. Allora ho detto: si va».

E ieri mattina alle dieci, puntuale come un orologio svizzero il Professore si è presentato a Riomaggiore: scarpe da ginnastica, pantaloni informali, camicia a mezze maniche, zainetto in spalla. Un turista qualunque, l’inno alla normalità. Ha passeggiato sulla via dell’Amore, come tutti da queste parti. Nella chiesa di Vernazza ha visto una giovane coppia di sposi e ascoltato l’organo suonato dal sindaco. A Monterosso ha visitato lo stabilimento in cui le acciughe vengono messe sotto sale e a Manarola, nella cantina di Mario Andreoli, ha assaggiato per la prima volta quel distillato di fatica e uva che è lo Sciacchetrà. Già, uva, sudore e determinazione, la ricetta segreta delle Cinque Terre di un tempo, ma anche di quelle di oggi.

Ha avuto modo di rendersene conto, di guardare da vicino la fatica consumata a strappare metro dopo metro la terra alla roccia e al mare, percorrendo 750 metri di uno dei 52 trenini delle vigne, piccole cremagliere che si inerpicano lungo i fianchi ripidi della montagna e si tuffano a picco sprofondando verso il verde blu del mare. Una licenza alla sicurezza del Presidente del Consiglio, un rischio calcolato per godere di un’emozione irripetibile, che solo i vignaioli del Parco hanno codificato nella loro memoria.

Nella memoria di Romano Prodi, invece, le Cinque Terre si fermavano a cinquant’anni fa, quando tenda e viveri, si era accampato a luglio sull’ “isola” di Monterosso. A tavola, nel punto di ristoro di Monesterolo, tira le somme della sua visita semi-privata: «Cosa mi è piaciuto di più? Certamente la marcia indietro rispetto al degrado. Questo era un territorio in abbandono che improvvisamente diventa dinamico e che assorbe giovani. È il cambiamento più grosso che uno si potesse aspettare. C’è un’integrazione tra il mare, l’utilizzo del suolo, alcune produzioni raffinate e una quantità di turismo enorme che chiude il ciclo. Eppoi la fortunata presenza della ferrovia che rende possibile utilizzare questa natura senza stravolgerla. È un caso abbastanza unico».

Passano le portate: il carpaccio di branzino all’odore di vaniglia, una piccola catalana di scampi, gli gnocchi con l’astice, il branzino al forno e il flan di cioccolato. Il premier duetta con il presidente della Regione Burlando che, oggi, lo vorrebbe allo stadio Ferraris a sostenere il Genoa contro il Milan. L’eco della lettera aperta di Celentano è ancora forte. E Burlando ne approfitta: «Se vuoi bene al territorio, ti dà dei frutti. Se non lo ami, non ti dà niente. Questa è una delle zone che insieme a Genova è cresciuta. Tigullio che è di qualità ha tenuto bene. E il resto è in calo. Stenta».

Sulla politica, sulla gestazione del Pd, sul tesoretto bis che scatena gli appetiti di fine estate, il presidente del Consiglio scivola via. Ma sul miracolo delle Cinque Terre no, insiste: «È un insegnamento grosso. Chi vent’anni fa immaginava un turismo del genere veniva accolto con un mezzo sorriso perché turismo significa grattacielo, speculazioni, automobile e basta. Qui invece c’è un esempio di inversione di tendenza in cui si dice che la salvaguardia del territorio è uno strumento enorme di richiamo perché i numeri sono quelli di un grande comprensorio turistico».

È il Professore che sale in cattedra, che parla di turismo mentre ha nel naso ancora l’odore di basilico e di lavanda, negli occhi il colore del pesto e del mare. «Per esportare questo modello ci vuole la gente, ci vuole un innovatore come Bonanini e poi ci vuole una comunità che adagio adagio ci creda. Se sono assolutamente dominanti gli interessi che fanno stravolgere il rapporto con il territorio, allora no, non è esportabile. Loro hanno applicato bene le regole che si sono dati».

26/08/2007 – Il Secolo XIX

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