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La coppia più furba del mondo sposa il qualunquismo di Grillo

di Paolo Bracalini

I cacciatori, il praticello verde che non c’è più, lo smog, la fame nel mondo, il cemento, i grattacieli, la guerra, il regime cattivo, il consumismo, tutte queste brutte cose e voi lì che non fate niente. Alla voce «solite banalità» c’è un’appendice apposta per loro, la coppia più furba del mondo, Celentano-Mori, altrimenti detto «Il Clan». Il suddetto Clan ha trovato ieri un nuovo partner per la commercializzazione del prodotto di cui è leader di mercato: populismo-qualunquismo-paraculismo dagli ottimi ritorni finanziari. Trattasi insomma della joint venture tra due grosse imprese, la Grillo S.p.A (fatturato annuo: 4,2 milioni di euro) e il Clan «Celentano-Mori» (giro d’affari: 5,8 milioni di euro annui), con annessa propaganda pseudo-politica, impersonata stavolta da Beppe Grillo, allo Smeraldo di Milano, con la coppia più furba del mondo accomodata nella fila vip della platea per applaudirlo.
Sintonia perfetta sull’onda del non-pensiero, dell’accozzaglia da mercatino delle idee usate con scenografia da dittatura alle porte, il vecchio repertorio sempre buono, però, per fare share in tv o magari per sponsorizzare il movimento politico ma anti-politico (o viceversa), questo delle Cinque stelle (o delle due star?) del comico genovese improvvisatosi rivoluzionario al pesto. Li unisce l’ideologia ecologista, più informata nel caso di Grillo, puramente declamatoria nel caso di Celentano-Mori, in entrambi i casi verosimilmente paracula. È una compagnia di giro, a ben guardare, sempre le stesse facce che si invitano tra loro, che solidarizzano, che simulano la resistenza a suon di milioni: i Celentano’s che vanno da Grillo, Grillo che difende Santoro, Celentano che invita Santoro (ricordate a Rockpolitik? Michele si dimise dall’Europarlamento pur di andare in onda), Santoro che dà spazio a Grillo (ricordate Annozero? L’Agcom sanzionò la Rai), Di Pietro che va ospite da Santoro e sottoscrive i Vaffaday di Grillo. C’è solo da aggiungere la Mori, al favoloso quadretto, lei che è portavoce ufficiale del celentanismo e amministratrice delegata della società di famiglia, che gestisce diritti di immagine, immobili, produzioni musicali, produzioni televisive, cioè un capitale che basterebbe a risolvere i problemi di un Paese africano. Ma l’ideologo (si fa per dire) di casa Celentano è lui, non lei, che invece si occupa delle faccende finanziarie e di X-Factor, dove si è fatta scritturare per poi accorgersi che il programma è volgare, ma solo perché hanno fatto vedere una sua foto che non le piaceva. Grillo-Clan è però un’alleanza tendenzialmente solida, perché nell’evanescenza delle idee ci si intende perfettamente, tutto fa brodo nel pentolone dello show-business. Il trucco è prendersela con tutti, indignarsi, qualunquizzare alla grande, dire che «loro» non capiscono «noi», la gente, come se loro, Celentano, Mori, Grillo, fossero la gente. Il tutto in un contesto di imbarazzanti contraddizioni. L’ecologista Grillo che consuma elettricità come sette famiglie, la coppia ecologista Celentano-Mori che piange per le cementificazioni e canta la bellezza delle vecchie case di ringhiera di una volta, ma vive in una megavilla sul Lago, senza ombra di ringhiera. Il difensore della libertà di parola Grillo che insulta i giornalisti, e il difensore della libertà di parola Celentano che querela Chiambretti perché ne fa la parodia.
Va riconosciuto però che Celentano è arrivato molto prima di Grillo nell’arte della predicazione furbacchiona, è da anni che lui fa il grillino, quando quell’altro era ancora soltanto un comico genovese. Già da anni Celentano si era inventato il soprannome astuto di «Re degli ignoranti», mescolando alla rinfusa ambientalismo contadino, pacifismo alla buona, salutismo primitivo, anti-abortismo elementare, millenarismo da oratorio, panteismo da ortomercato. Un cocktail da terza media che il Molleggiato ha venduto (a caro prezzo) nei suoi show in Rai, e che i vari partiti hanno cercato via via di annettere rischiando però di trovarsi in casa solo un barattolo pieno di aria. «Un cretino di talento» è la definizione che gli diede Giorgio Bocca su Repubblica, quando la sinistra illuminata non vedeva ancora in Celentano un martire della libertà di espressione, ma cercava anzi di far passare il suo populismo anti-tecnologico come una tipica espressione del tradizionalismo di destra. «Un predicatore elettronico tanto rozzo quanto pericoloso» fu invece la diagnosi di Veltroni (poi suo ammiratore e difensore) dopo un demenziale Fantastico. Macché, il celentanismo è, come il grillismo, un cliché destinato a ripresentarsi come l’influenza in autunno e ad assumere sembianze mutevoli, mantenendo invariata solo una caratteristica: il tasso di paraculismo attivo. In tutto questo la Mori funge da interprete, da sibilla, quando (può capitare) il pensiero filosofico di Celentano viene frainteso. Quando Il Secolo d’Italia titolò «Adriano, torna a destra» fu lei a spiegare: «È ridicolo, mio marito è un uomo libero». Lui più che altro va dove tira il vento, annusa e predica. In una sua canzone dell’81 qualcuno ha voluto vedere i segni di un proto-leghismo, per i versi «Chi non paga le tasse è ingiusto/ questo dice la società/ ora che sono nel giusto/ sono senza una lira». Non era proto-leghismo, forse solo proto-grillismo. Oppure, solito paraculismo.

06/10/2009 – Il Giornale

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