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Il Paradiso è rock

Di Virginia Perini

“Il Papa è rock” disse Celentano in uno dei monologhi che aprivano le quattro puntate di Rock Politik. E’ sufficiente. Nessuno ha chiesto al molleggiato se il peccato è rock o lento, probabilmente avrebbe risposto che dipende da che peccato è. Il bacio è rock (anzi il tuo bacio è come un rock che ti morde col suo swing…), salvare un gatto è rock, la pena di morte è lentissima (sempre attuale) mentre la pace è molto rock.

Su Repubblica si legge: “A dispetto di Celentano che identifica il rock con la categoria vincente, monsignor Marco Frisina, autore della colonna sonora di una Divina Commedia versione musical, prevista sulle scene a novembre, il rock lo spedisce all’inferno…”.

Caro Monsignor Marco Frisina, il rock’n roll è da sempre la musica del ballo e della vita, la musica della positività delle pulsioni e del sentimento che prendono forse il cuore prima della mente e che spesso ahimè sono ricacciate negli inferi da chi è così “lento” da pensare che ci sia qualcosa di peccaminoso in questo.

Negli anni Sessanta la gente s’innamorava a ritmo di rock, si conosceva e coltivava una forma d’arte prima sconosciuta, ma in grado di muovere le masse e i sentimenti.

C’è chi pensa che il rock sia in grado di ridare vita a un morto. E’ poesia. Vogliamo poi polemizzare sul fatto che alcune rock star si sono ammalate di Aids, o si drogavano o manifestavano in modo atipico la propria genialità? Che banalità. “La dimensione satanica del rock esprime meglio di qualunque genere la lacerazione il conflitto, il dolore profondo dell’inferno”. Si legge ancora. Jim Morrison, Kurt Cobain, Freddy Mercury erano stravaganti perchè erano geni. E non solo. Manifestavano una protesta, erano figli di un epoca che li ha portati sul palco a suonare per coniugare poesia a riforma. La componente politica e sociale era evidente, veniva fuori come d’istinto, schizzava fuori dal petto.

Il rapporto di causa-effetto tra genio e follia è un po’ come il quesito su chi è nato prima tra l’uomo o la gallina, ma addirittura cacciare il rock all’inferno… E’ un vero peccato. Le star del rock predicavano la pace e l’amore (le eccezioni degeneranti e degenerative le lasciamo momentaneamente in soffitta: ogni fenomeno ne presenta). Quando non cercavano amore lamentavano una società ingiusta, ne idealizzavano una di uguaglianza e civiltà.

E in ogni caso il contrasto delle note e la complessità musicale di alcuni brani di classica esprime ancor meglio il dissidio.

I casi sono due: o rivalutare l’inferno come dimensione, prendendo atto del suo valore simbolico anche come sede della pulsione, del dissidio, di ciò che a volte c’è di più vero dell’animo umano o sapere che si sta commettendo un errore culturale identificandolo col male.

Certo, gli schemi classici, sempre rispettati e graditi, vogliono l’espressione di una genialità sinfonica e soave per la quiete del paradiso e suoni più hard per gli inferi. Riprodurre il binomio è una scelta, ma il parallelismo è arbitrario: non c’è nesso reale. I buoni sono statici, i peccatori fervono e hanno ceduto alle pulsioni, ma esprimono anche per questo la vita. E allora dov’è che si toccano inferno e paradiso? Chissà. Ciò non toglie che vedere Beatrice ballare rock in un ‘swinging paradise’ con Dante sarebbe folle (per alcuni una pagliacciata), ma forse ancora più geniale. Ci sono poi dei rock lenti che sono più puri della idea paradisiaca della purezza.

E il molleggiato c’è arrivato ancora prima: “Il paradiso è hard rock”.

03/01/2007 – Affari Italiani (Canale di Libero)

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