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Il convento di Brugherio senza show

Forse la delusione più grossa di «RockPolitik» è venuta proprio dal rock, dalla parte spettacolare. Una grandiosa scenografia, una fantastica cornice ma il quadro è stato a lungo vuoto, senza un vero show, senza grandi numeri da ricordare. Perché? Una risposta potrebbe essere questa. Da anni Celentano vive in uno splendido isolamento e si vive sempre più come un’autorità morale, un frate predicatore. L’hangar di Brugherio è diventato il suo convento dove dare rifugio agli epurati (della tv), far valere l’antico diritto d’asilo, celebrare la divisione epocale tra il Bene (rock) e il Male (lento). Celentano è un grande rock collettivo, non si capisce il motivo, anche se un motivo (una canzone) dev’esserci. Ma basta una sua predica, spesso strampalata, faticosa da leggere (per lui) e da afferrare (per noi) perché il sistema politico dimostri la sua vaghezza.

Non si capisce davvero se sia la tv a mangiarsi la politica o viceversa. Non si capisce se Celentano sia un uomo di «destra» prestato per caso alla «sinistra», o viceversa. Non si capisce se Celentano sia il Potere o sia Bertoldo che sbeffeggia il Potere. O tutti e due. Però l’idea del convento mediatico è la sola che resiste, e si rafforza a ogni sua omelia. Il successo d’audience di questi quattro appuntamenti ci dice del nostro bisogno di identificarci in una figura carismatica. Celentano è bravo, anzi bravissimo; davanti a una telecamera si trasforma in un autocrate: cadono i generi, cadono i format, resta solo il carisma (la forma gioiosa del dispotismo).

Aldo Grasso

11/11/2005 – Corriere della sera

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