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Dall’Aglio, da Adriano a Lucio: il batterista a nudo in un libro

Il leader dei Ribelli racconta la sua vita, dal Clan di Celentano fino a Battisti. L’autobiografia in libreria dal 12 dicembre

di M. Antonietta Filippini

Gianni dall'Aglio (a sinistra) con Mina e Adriano Celentano

Gianni dall’Aglio (a sinistra) con Mina e Adriano Celentano

Gianni Dall’Aglio ha scritto la sua autobiografia: «la prima e l’ultima». «Mi sono messo a nudo» ci racconta. Batti un colpo (Gabrielli editore, 15 euro, in vendita dal 12 dicembre) ripercorre la sua vita e, sì, svela finalmente anche il flirt con Patty Pravo, ma soprattutto parla di musica, di ragazze, di cantanti e chitarristi, da quando il bambino cresciuto giocando ai Giardini Valentini è diventato il batterista della musica leggera italiana che ha suonato con Celentano anche davanti a papa Wojtyla con 300mila giovani. La sua mano c’è in dischi di Mina, Branduardi, Battisti, Ivano Fossati, Loredana Bertè, Patty Pravo.

Gianni presenterà Batti un colpo il 12 dicembre alle 17.30 nell’Auditorium del Conservatorio Campiani, presentato da Michele Bovi, capostruttura Rai, autore di Techetechetè. Una bella rivincita per uno che ha lasciato le scuole poco dopo le medie, e facendo felice la famiglia ha frequentato un po’ di conservatorio a Milano.

Lungo, magro, oggi con una treccia di capelli bianchi, Gianni è sempre in vibrazione, anche quando parla, cammina o ti stringe la mano. Alla soglia dei 70, continua a suonare la batteria scaldando i cuori con canzoni che tutti riconoscono, ai primi accordi. È stato il batterista di Celentano e di Lucio Battisti, è stato leader dei Ribelli e ha scritto Pugni chiusi. Rita Pavone se l’è portato in tournée dal Sudamerica al Canada e in Israele. Little Tony l’ha portato a New York.

Nell’autobiografia, Gianni racconta le grandi soddisfazioni e non nasconde i lavori fatti per guadagnare, cita il 13 al totocalcio, ma anche gli smacchi duri da ingoiare. Però con un ottimismo di fondo e la voglia di godersi la vita. Fino all’emozione più imprevedibile: togliersi un rene per donarlo alla moglie Orietta. Superata la paura, al medico chiede: «potrò ancora suonare la batteria?». Oggi ha fondato una nuova band, “Il nostro canto libero”, che gira l’Italia con le canzoni di Battisti e gli “originali”, cioè i musicisti che suonavano per Lucio in sala d’incisione.

È dal trapianto che comincia il libro. Che poi torna all’infanzia. «Mi è pesato scriverlo: ero un bambino problematico con il terrore che mia madre morisse per colpa mia; dovevo toccare terra un certo numero di volte, per scongiurare quel pericolo». I genitori lo portano dallo psichiatra. «Disse: basta batteria, lo agita». Per fortuna fu un mago a togliergli l’angoscia e anzi a prevedere per lui un futuro di successo come batterista.

Gianni scoprì la batteria da bambino al circo con il papà, rapito dall’uomo che su in alto suonava il tamburo. Ma è a 13 anni che avrà l’incontro con Adriano, che lo prende subito con sè. «A Milano dormivo a casa di suo fratello Alessandro o dalla sorella Rosa, la mamma di Gino Santercole».

Che effetto ti fa venire chiamato “il batterista di Celentano”? «Normale, come se dicessero il fratello di Doriana. Sono cresciuto con lui. È una persona carismatica e generosa, basa tutto sulla fiducia. Così quando nel 1967 gli dissi che volevo più visibilità per i Ribelli, uno dei gruppi del suo Clan, rispose che se non avevamo più fiducia eravamo liberi di andare via, ma mi regalava il marchio, I Ribelli. E poco dopo entra con noi Demetrio Stratos».

Con Celentano hai suonato dal 1959, la prima volta al parco Ravizza a Milano, hai aspettato che finisse il servizio militare quando era un ragazzo, e poi vi siete ritrovati dopo una pausa di 10 anni. «In quel periodo aveva fatto soprattutto film, nel 1976 mi ha chiamato per il primo tour, tutti i concerti e quel Fantastico Otto con cui nell’88 ha rivoluzionato la trasmissione Rai della Lotteria». Nel libro ci sono bellissime foto con il Molleggiato, ma nessuna con Lucio Battisti. «È il mio cruccio, con Celentano era normale. Gli chiedevamo: dai, facciamo una foto insieme. Un personaggio che conoscevano tutti. Battisti io lo consideravo un grandissimo musicista, forse non immaginavo cosa sarebbe diventato nel cuore della gente. Però ho un filmato che è il massimo che possa desiderare un musicista». E cos’è mai? «Lo storico duetto di Mina con Lucio Battisti a “Studio 10” su Raiuno nel 1972. Non si sarebbero mai più esibiti insieme. Io ero lì e suonavo la batteria. Tutte le volte che lo fanno rivedere o riascoltare ci sono anch’io».

Nel libro racconti la delusione quando, dopo il milione di copie vendute da Pugni chiusi, la casa discografica Ricordi non puntò più sui Ribelli e vi affidò solo cover.

«Già, dopo un po’ abbiamo smesso, ma i Ribelli continuano, con giovani musicisti. Alcuni di loro saranno con me al Campiani, per eseguire alcune canzoni tappe della mia vita».

Pugni chiusi, quando l’hai scritta? «Nel 1966, pochi mesi dopo la morte di mia madre. Mi chiudevo nella stanza da letto, dove avevo messo il piano, me la sentivo vicina ed esprimevo la mia rabbia». E infatti è sempre bellissima, però hai dovuto aspettare 40 anni perché ti fosse riconosciuta la paternità. «Già, racconto anche la storia di Ricky Gianco».

Poi è arrivata l’esperienza con Lucio Battisti. Racconti che addirittura la prima versione di Per una lira l’avevate eseguita voi Ribelli, mentre lui era ancora soltanto un autore. «Sì e gli era piaciuta tanto che poi mi ha chiamato come session man. Insieme abbiamo registrato Un’avventura, Non è Francesca, Balla Linda, Mi ritorni in mente».

Ma ci sono anche altri musicisti che hanno segnato la tua vita. «A Fantastico 8 ho potuto suonare con i miei miti, Little Richard e Chuck Berry».

Gianni, quante ragazze per un batterista. «Ho proprio confessato tutto. Però non mettiamo tutto sulla Gazzetta. Altrimenti Orietta mi uccide».

02/12/2014 – Gazzetta di Mantova (gazzettadimantova.gelocal.it)

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