ACfans

Celentano, canzoni e provocazioni “Ultrà, siate motore del cambiamento”

Prodi “forse è sulla strada giusta, ma il popolo non gradisce”. “Silvio, dai un segnale che non sei più quello di ieri”
“Mastella deve avere il coraggio di dire che ha sbagliato a rimuovere il magistrato che indagava su di lui”

di ALESSANDRA VITALI

MILANO – Poco più di un’ora e mezza di canzoni e provocazioni e un appello agli ultrà affinché depongano le armi e divengano motore della “rivoluzione” che deve partire dalla “gente” perché “le votazioni non servono, non cambiano nulla”. Tanta musica, come anticipato nei giorni scorsi, e una buona dose di provocazione nel nuovo show di Adriano Celentano La situazione di mia sorella non è buona, che segna il ritorno del Molleggiato in tv a due anni da Rockpolitik. In una forma diversa dai maxishow del passato: niente spazi sconfinati e quinte panoramiche ma effetto-caminetto, uno studio radiofonico e un salotto, poltrone con gli amici. Quelli di sempre, come Mogol e Gianni Bella, che hanno lavorato a Dormi amore. La situazione non è buona, il nuovo album dell’artista uscito in questi giorni. E quelli nuovi, come Carmen Consoli e Ludovico Einaudi, anche loro fra le firme del nuovo disco. E Antonio Cornacchione, Laura Chiatti, Max Pisu.

Politici e nucleare. Si parte con un siparietto gigione (prima però, sui titoli di testa, c’è la silhouette della Chiatti che accenna a uno strip), con Celentano, Mogol e Bella a parlar di canzoni, di come cantare l’amore. C’è Fabio Fazio, intervistatore-spalla che dà la stura a un primo sermone del Molleggiato sui rischi di nucleare, radiazioni e polveri sottili. Casini, Berlusconi, la destra e anche D’Alema che hanno il torto di sostenere “che oggi le centrali nucleari sarebbero più sicure, ma il rischio sono le scorie”. I politici “hanno fretta, non possono aspettare sennò perdono i voti”. Prodi forse “è sulla strada giusta, fa promesse che si possono attuare ma il popolo non gradisce”. Canta, scorrono le immagini della repressione in Birmania e di Aung San Suu Kyi.

Architetti-kamikaze. Ce n’è per il debito pubblico, i pochi investimenti nella ricerca, i grattacieli nei quali “i deficienti identificano il benessere”, gli “architetti-kamikaze che distruggono ogni cosa”, “a Milano hanno fatto la Bocconi, un mostro”. Poi sposta l’azione nella toilette, un gruppo di amici a scambiarsi aneddoti, barzellette, ricordi. Con Milena Gabanelli al telefono si interroga sul perché i quotidiani non diano il dovuto risalto ai casi sollevati dal suo Report, invece “se all’Isola dei famosi c’è uno che va a casa o litiga con un altro, gli danno risalto”.

“Ultrà, fate la rivoluzione”. E’ la fine, il sermone più consistente. Celentano invoca una “vera rivoluzione”, “le votazioni non servono, non cambiano niente se la gente non risorge da dentro”. Chiede la svolta agli ultrà: basta andare negli stadi “con spranghe e bastoni a colpire la polizia”. Piuttosto, “cambiate il vostro simbolo, togliete l’accento e diventate ‘ultra’, seppellite gli oggetti di violenza che caratterizzano la vostra identità”. Gli “ultra” motori del cambiamento: “Deve partire da voi l’input primitivo. Dal fango nasce il fiore più bello. Se lo farete – continua Celentano – costringerete il potere a piegarsi agli ideali di amore, uguaglianza, bellezza”.

Mastella e Berlusconi. Agli “ultra” Celentano affida anche la moralizzazione dei costumi: “Obbligherete i politici a non commettere atti impuri” e Mastella “a una riflessione importante, a dire ‘ho sbagliato a togliere l’indagine al magistrato che stava indagando su di me, lo rimetto al suo posto'”. Quanto a Berlusconi, “è bello il successo del suo nuovo partito, ma Silvio, se vuoi voltare pagina devi fare una rivoluzione dentro di te, dare un segnale che non sei più quello di ieri”. Per questo, serve “guardarsi negli occhi con lo sguardo di chi non ha paura di mettere in discussione i progetti della Moratti e tutto ciò che è contro la natura. Se non lo farai non sarai un ‘ultra’ e il tuo partito – conclude Celentano – invecchierà quando meno te lo aspetti”.

26/11/2007 – La Repubblica

Exit mobile version