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Celentano a tutto campo: morti sul lavoro, politica, ecologia

Le morti sul lavoro non sono fiction. Sono carne da macello sacrificata per distrazione, incuria, colpevoli mancanze. Alla Mostra di Venezia inizia una 24 ore dedicata a questo tema. Che dall’anno prossimo avrà una sezione a parte nella rassegna.

Dal Lido partirà una “Carovana per il lavoro sicuro” promossa da Articolo 21, che in diverse tappe collegherà idealmente i luoghi simbolo di queste tragedie perché politica, associazioni, mondo dell’arte e giornalismo se ne occupino e diventino megafono.

In mattinata il presidente della Repubblica Napolitano aveva inviato ai vertici della Biennale il suo “vivo apprezzamento per la sensibile scelta di dedicare attenzione al dramma delle morti sul lavoro” con tre proiezioni speciali. Si tratta di ThyssenKrupp blues di Pietro Balla e Monica Repetto e La fabbrica dei tedeschi di Mimmo Calopresti, due documentari che rileggono la tragedia del 5 dicembre scorso alle acciaierie di Torino. E Yuppi du del 1975, film naife come il suo regista e attore, Adriano Celentano, che incredibilmente fu antesignano di un tema mai frequentato fino ad allora su grande schermo.

L’artista milanese, che premierà Ermanno Olmi con il Leone d’oro alla carriera, era attesissimo per una delle rare conferenze stampa che ha concesso. Arrivato insieme al direttore Marco Muller, gli fanno subito notare: l’incontro durerà 30 minuti. E lui: 25 saranno di pausa. Invece è andato a ruota libera: il tema del giorno, certo, ma anche la politica, l’ecologismo, l’Alitalia, l’Expo. E un’idea “divertente” per il governo di questo paese.

Inizia raccontando un episodio forse inedito. Mentre lavorava a Yuppi du un operatore, Graziano, cadde da una zattera che si capovolse nelle acque gelide del Ticino, morendo. A lui è dedicato il film.

In gran forma, subito sorridente per il messaggio di benvenuto letto in un inglese stentato da Tom Mockridge, amministratore delegato di Sky Italia (che ha restaurato la pellicola), Celentano vede Yuppi du come «un grido di gioia per l’amore verso una donna (nel film ne ama due, Claudia Mori e Charlotte Rampling, ndr) ma anche un grido di dolore, per la violenza sulle donne, o la morte di un amico al lavoro per colpa di un padrone delinquente o di un operaio irresponsabile».

Rifarebbe il cinema? «Ho sempre intenzione di fare qualche cosa ma poi non trovo il tempo perché mi dovrei sdoppiare». Il soggetto, uno facile facile: «Mi piacerebbe fare un film sulla resurrezione di Gesù, non s’è mai visto cosa succede ma è un’idea così, buttata lì». Quanto alla televisione, resta a guardare: «Quando ritorno mi diverto sempre, non so quando cosa e con chi lo farò».

Le sue passioni giovanili? «Guardavo Clark Gable, volevo imparare a muovermi come lui. E il tip tap, ero innamorato di quel ballo». Ci si ispira sempre agli altri perché «c’è sempre qualcuno che viene prima di te e ti insegna delle cose. L’importante è che poi lo superi».

Gli chiedono addirittura dell’Alitalia. Lui si dice ignorante al riguardo e rispondendo come «un uomo della strada, gioisco se la compagnia risorge”. Però “sarebbe grave se quegli imprenditori avessero realizzato una sorta di scambio con la politica».

Non riserva parole concilianti a chi governa un paese «per cui non vedo un bel futuro». E fa l’esempio del contestato parcheggio da 700 posti da costruire sventrando la collina del Pincio a Roma: «Un segno della follia per la devastazione. L’inventore di questa genialità è un certo Chicco Testa. E pare dopo che questa genialità gli sia rimasto solo il chicco».

Mette sullo stesso piano destra e sinistra: «I genitori di Frankenstein non sono solo la Moratti e Formigoni. A capo di questo vertice c’è Berlusconi accanto a Veltroni, che definì l’operazione urbanistica al Pincio come la più importante degli ultimi anni. Prendete poi Alemanno, contrario quando era all’opposizione e d’accordo adesso che è sindaco». Continua: «Non mi meraviglierei quindi se la destra d’accordo con la sinistra stesse progettando un mega parcheggio sotto la Laguna».

Per Venezia è un suonare di violini: «E’ la più bella città del mondo. Mi sembra la più grande protesta contro l’avanzare del brutto. Non solo in Italia. Venezia è la mia amante, perchè la moglie ce l’ho già».

Diverso il discorso su Milano, isterica e claustrofobica nel suo film di 35 anni fa. E «le cose da allora sono anche peggiorate. Lo vedete tutti». Sui progetti per il 2015: «L’Expo potrebbe essere una grande risorsa se si vendessero le cose dell’Italia, cioè la bellezza del paese. Invece credo che ci sarà un affanno a chi riesce a piazzare più cemento. Me la prendo a volte più con la gente che non protesta».

Il nostro John Lui, apocalittico e vagamente messianico, immagina uno scenario da utopia: «Io non vedo un bel futuro. Però potrebbero venire fuori intellettuali artisti poeti che si mettono insieme». Per cominciare «sarebbe bello se il governo, magari di una regione, fosse dato in mano a dei filosofi o a dei saggi. Sono sicuro che sarebbe più divertente».

Pasquale Colizzi

04/09/2008 – L’Unità

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