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Applausi per il «Rock», fischi per l’«Economy». Il meglio e il peggio del ritorno live di Adriano Celentano all’Arena di Verona

Quando canta da solo o in duetto, applausi, urla d’approvazione, qualche lacrima di commozione che affiora qua e là. Quando parla o fa parlare gli ospiti «seri», ovazioni per gli slogan anti-crisi, poi affiora un po’ di noia, quindi esplodono fischi d’insofferenza.

Decisamente più «Rock» che «Economy» nel ritorno in concerto di Adriano Celentano, a distanza di 18 anni dalla sua precedente esibizione dal vivo. Fino a che il Supermolleggiato si è esibito microfono in pugno, l’Arena di Verona piena all’inverosimile lo ha acclamato come un profeta.

Quando invece ha indossato l’abito da profeta, porgendo il microfono all’economista anti-fiscal compact Jean Paul Fitoussi, ha convinto meno e s’è beccato persino qualche «buuu» di disapprovazione. E in effetti come si fa a conciliare un concerto con un workshop sulla decrescita felice? Boh. A fare la media della prima serata di «Rock Economy», in ogni caso, l’Adriano nazionale porta a casa un sette pieno. Perché, a uno che canta così, gli si perdona davvero tutto.

Tempo di «Svalutation»
Lo spettacolo, in diretta su Canale 5, ha avuto inizio con l’attore Valerio Amoruso e la giornalista del Tg5 Cristina Biachino che leggevano brani degli economisti di fama internazionale Jeremy Rifkin e Serge Latouche. Due voci inneggianti alla «decrescita» con sentenze che si rincorrevano: «La felicità non può essere quantificata col prodotto nazionale lordo». E ancora «dovremmo volere una società in cui l’economia non è il fine ultimo della vita».

Si apre il monumentale portone della scenografia, Adriano entra con in testa un cappello che sembra preso in prestito a sua figlia Rosita e, tra i fumi del ghiaccio bollente, intona «Svalutation». Che altro sennò? Un rock and roll intuitivo e tuttologico che suona maledettamente attuale. Poi è la volta di «Rip it up», la cover di Little Richard che faceva parte del suo repertorio ai tempi degli esordi del Palaghiaccio. Vengono i brividi quando il ruggito del Molleggiato nazionale indugia sulle note di «Si è spento il sole».

Come dire: gli anni Sessanta proprio non ne vogliono sapere di abbandonarci. Ma c’è spazio anche per il presente, per le produzioni più recenti di Adriano, come «La cumbia di chi cambia», aperta da esplosioni e siparietti con figuranti e membri dell’orchestra per protagonisti. Lo stesso pezzo che all’ultimo Sanremo causò un putiferio. Prima accennato, poi eseguito. Quindi la dedica «al mio amico Gianni Bella che con un altro amico, Mogol, hanno fatto tanti successi».

Tocca infatti a «L’emozione non ha voce», il cui testo è stato scritto dallo stesso paroliere di fiducia di Lucio Battisti, presente tra il pubblico. Viene il turno di «Io sono un uomo libero», brano scritto da un altro spettatore illustre, Ivano Fossati, giudicato «difficile» dall’Adriano nazionale «perché con un piede devo segnare il levare del tempo e con l’altro il battere». E Allora Adriano canta seduto. La forma fisica non sarà uguale a quella dell’ultima volta live di 18 anni fa. La grinta però è la stessa. Ascoltare «Pregherò» – dedicata al «ragazzo» Paolo Bonolis – per credere. Non è un caso se il pubblico la saluta con una standing ovation. «L’artigiano» coglie nel segno, se consideriamo che a Palazzo Chigi c’è un certo Mario Monti.

Il Ragazzo della via Gluck e la crescita
Tra una pausa e l’altra, arriva il momento del discorso intorno alla crescita: «Non si sente parlare di crescita, – commenta Celentano – tutti la invocano ma non dicono come fare. Personalmente credo che la crescita sia legata a un cambiamento da parte dell’uomo». Poi si perde nel discorso e va al bar allestito sul palco per rifocillarsi con l’immancabile bicchiere d’acqua. Un elicottero di floydiana memoria sorvola l’Arena, il portico della scenografia si apre e riecco Celentano che si fa portare una chitarra classica. È il momento de «Il ragazzo della via Gluck», con tutta l’Arena che canta sui suoi accordi e, in mezzo al pubblico, esulta la tribù dei sosia che, scimmiottandolo, si è inventata un mestiere. Entra l’orchestra e ad Adriano scappa una lacrima.

Fitoussi, io vorrei che tu Morandi ed io
Arriva il momento dell’economista Jean Paul Fitoussi, impegnato in una chiacchiera da osteria con Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo. Subito spara a zero: «In Europa non siamo più in un regime democratico, abbiamo un sistema che non risponde ai cittadini e abbiamo governi nazionali che non hanno più potere. Siamo in una dittatura. All’inizio credevo che eravamo in una dittatura benevola, adesso non lo credo più». Perché i governi «ubbidiscono a fiscal compact e al patto di stabilità ma non ai loro cittadini». Insomma, secondo Fitoussi «i popoli europei hanno perso il futuro». C’è una sola via, secondo l’economista francese: «Un governo europeo che risponda davanti a noi».

«Scende la pioggia», poi anche i fischi
Un attacco alla Germania che userebbe la crisi per fini egemonici sul resto dell’Unione europea. Si parla di egoismo, irrompe l’«ognuno pensa solo a sé stesso» dell’ospite Gianni Morandi che duetta con il Molleggiato sulle note di «Scende la pioggia». Morandi si aggrega al tavolo di economisti e giornalisti confondendo Rizzo con Stella. Ci si inerpica sui sentieri scoscesi della decrescita selettiva, il pubblico comincia ad annoiarsi ed arrivano i fischi. «Vogliono che canti», dice Morandi. «Sì, ma la bellezza ci salverà», prova a obiettare Celentano. Congedare l’allegra brigata di economisti e giornalisti è un attimo e così arriva il momento de «La Mezza Luna», brano che offre la seconda occasione di duetto tra questi due pezzi di storia della canzone italiana. Si va poi su «Ti penso e cambia il mondo», già eseguita insieme a Sanremo 2012. Ad Adriano va di improvvisare e allora rieccolo solo al centro del palco per un altro rock and roll di Little Richard: «Ready Teddy». Il pubblico è di nuovo dalla sua parte e Morandi, con arguzia, lo provoca: «Fosse per te parleresti ancora con Fitoussi piuttosto che cantare. Eppure sono 18 anni che non canti!». Celentano accetta la provocazione e così si va sul tango «Woman in love», prima dell’anglomaccheronica «Prisencolinensinaiciusol», brano che chiude il primo atto di questa due giorni di concerti all’Arena di Verona. Il Molleggiato nazionale saluta il pubblico, accerchiato dal popolo di figuranti in vesti apocalittiche. Di «Rock Economy» se ne riparlerà stasera. E il pubblico confida in ancora meno parole e ancora più canzoni.

09/10/2012 – Il Sole 24 Ore

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