Appello di Celentano per salvare “Il Manifesto”
«Io non condivido niente di quello che dici, ma darei la vita perchè tu lo dica!». Adriano Celentano cita Voltaire ed aderisce alla campagna di sottoscrizione lanciata dal manifesto due settimane fa per «salvare il mostro», che ha già portato nelle casse del ‘quotidiano comunista’ di proprietà dei giornalisti e dei tecnici che ci lavorano 750 mila euro, la metà della cifra necessaria da raccogliere entro settembre per evitare la chiusura della testata che ha recentemente festeggiato i suoi primi 35 anni di vita.
750 mila euro raccolti tra i lettori del giornale attraverso versamenti spontanei, assemblee, cene e persino cocktail finalizzati al sostegno del manifesto. Sottoscrizioni, ma anche prese di posizione e lettere di solidarietà provenienti dal mondo della sinistra e della politica in generale, dai movimenti sociali, dai sindacati, dall’associazionismo, dalla cultura, dallo spettacolo, dal giornalismo. Hanno inviato contributi e lettere, tra i tantissimi, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e i presidenti di Senato e Camera, Franco Marini e Fausto Bertinotti, Pietro Ingrao, i gruppi parlamentari di Rifondazione comunista e molti parlamentari italiani ed europei, tra cui Giulio Andreotti. E ancora, cantanti – Loredana Bertè ha versato 20 mila euro – e i principali gruppi musicali italiani, Enzo Biagi e il sindaco di Roma Walter Veltroni. Domani il manifesto pubblicherà un articolo di Adriano Celentano che ricorda i primissimi anni Settanta in musica, al cinema e nella politica: «Quattro ore di fila per ritirare una pensione di 12 mila e ottocento lire», inizia così l’articolo del molleggiato ricordando le parole di Memmo Dittongo a Gino Santercole nel film Yuppi du del ’70. «Se tu eri un operaio ce l’avevi un bel vestito, doppio petto», continua Celentano, che aggiunge: «Ma questa era solo una finzione cinematografica, mentre fuori invece, fuori dal cinema, nella realtà di quegli stessi anni o giù di lì, un gruppo di intellettuali di sinistra capeggiati da quelli che tutt’ora sono considerati i grandi vecchi del manifesto, venivano radiati dal partito per aver espresso delle forti critiche alla linea comunista di allora. Un atto clamoroso, se si pensa che tutto questo avveniva quando ancora l’Unione sovietica era molto potente. Un dissenso che per la Russia di allora voleva dire scandalo, pericolo, sgretolamento. Ma i grandi vecchi non si diedero per vinti e per tutta risposta, assieme ad altri, fondarono il manifesto. Parliamo di Rossana Rossanda, Valentino Parlato e Luigi Pintor, che Berlinguer considerava il più grande giornalista italiano; forse perchè tutti e due erano sardi». Nel suo lungo articolo a sostegno del manifesto, Celentano, dopo aver valorizzato l’autonomia del giornale, lancia un appello ai soggetti che vendono pubblicità a investire su un quotidiano capace di proporre «titoli geniali» come «il pastore tedesco» nel giorno dell’elezione del nuovo papa: «Chi fa della pubblicità non può non considerare, per quanto non condivida la sua linea politica, il valore di quella fascia di èlite a cui arriva un giornale come il manifesto il quale, nonostante la sua bassa tiratura, arriva nei ranghi di coloro che contano nei punti cardini della società. Cosa ti importa, se sotto la testata del Manifesto c’è ancora la parola ‘comunista’? … il tuo compito no è di quello di far sì che il tuo messaggio arrivi a toccare tutte le fasce della società e, se possibile anche quelle del mondo animale? … Voltaire diceva: ‘io non condivido niente di quello che dici, ma darei la vita perchè tu lo dica!’…», conclude Celentano.
(Nex/Pn/Adnkronos)
07/07/2006 – Associazione Stampa Pontina