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Addio a Gian Luigi Rondi che nel ’75 scrisse “Celentano, è nato un nuovo Charlie Chaplin”

Gian Luigi Rondi

Si spegne oggi, a 94 anni, il famoso critico cinematografico nonché presidente dei David di Donatello, Gian Luigi Rondi.
E’ stato direttore e presidente del Festival di Venezia e poi del Festival di Roma. Era Cavaliere di Gran Croce e Grande Ufficiale della Repubblica Italiana e Legion d’Onore di Francia.

Una carriera giornalistica iniziata nel 1946 tra le pagine del quotidiano Il Tempo, per il quale scrisse un commento entusiasta per la chicca cinematografica per eccellenza di Adriano Celentano, “Yuppi Du“. Indicandolo addirittura come il nuovo Charlie Chaplin, fu una dei giornalisti che più esaltò la pellicola. Purtroppo non siamo riusciti a reperire l’articolo per intero, ma soltanto qualche passaggio che potete di seguito leggere:

Adriano Celentano, divo della canzone, è da oggi un autore di cinema. Sono forse il primo a stupirsene, ma è così. È un autore “serio”, da accogliere con soddisfazione, senza troppe riserve, Yuppi Du lo laurea, lo consacra. Non è un film perfetto, intendiamoci, ma è un film ricco, composito, estroso, con un senso felicissimo dello spettacolo, sia musicale sia teatrale; e con molte intuizioni cinematografiche, linguistiche, tecniche. Sovrabbondante di riferimenti e di citazioni, se vogliamo, ma anche personale, specie nella misura in cui il ricordo di altri autori e di altri generi si sposa con la concezione unitaria di una “rappresentazione” che, nonostante la varietà di ispirazioni, diventa spettacolo a sé.

[…] è un film ricco, composito, estroso, con un senso felicissimo dello spettacolo, sia musicale sia teatrale; e con molte intuizioni cinematografiche, linguistiche, tecniche. (…)
Una ballata tutta umori e sapori, visivamente interpretata con un susseguirsi continuo di situazioni sceniche e di trovate narrative che l’infiammano di vitalità, di vivacità e anche di cultura. (…)
Un gusto ora pop ora abilmente naif che, con il suo candore premeditato e entusiasta, sana i contrasti, addolcisce le contraddizioni, riconducendo tutto, o quasi (cinema, teatro, musica, balletto), a unità di spettacolo.
Tra le pagine migliori (…), il duetto d’amore fra il protagonista e la prima moglie sulla Torre de Mori in Piazza San Marco che si regge in equilibrio fra il musical americano del ’60 e una sua segreta parodia latina; senza dimenticare quella cornice veneziana di sfondo, fatiscente, corrosa, vista insolitamente fra le erbe, i campi, i giardini, ora tutta dal vero (con gli occhi di Tinto Brass), ora con sapore malizioso di palcoscenico, “luogo deputato” per un balletto o una scena madre […]

07/03/1975 – Il Tempo

 

Qualche anno più tardi, firma un’altra recensione, questa volta per la terza regia di Adriano, “Geppo il Folle“.

Dopo Yuppi Du, Geppo il Folle. Il bis d’autore di Adriano Celentano (il suo primissimo film come regista, “Super Rapina a Milano”, nel ’64, era stato solo uno scherzo a più mani). Celentano canta e suona e si cantava molto anche in Yuppi Du; qui, però, con più attenzione per la musica e forse un po’ meno per il cinema, pur tenendo a mente ad ogni passo i vezzi e le cadenze dei film musicali anglosassoni, soprattutto quelli dedicati ai Beatles; e con qualche ricordo di Tommy nello sfondo.

Due storie, anzi tre. La prima, che sostiene tutto, è quella di un celebre cantante, Geppo il Folle, che come mi aveva anticipato qui l’altro giorno lo stesso Celentano, oltre ad essere il numero uno in Europa vuol diventare adesso il numero uno in America. Da qui, mentre si accinge al gran salto, la necessità di imparare l’inglese, che diventa occasione e pretesto per la seconda storia: un idillio tra Geppo e la sua insegnante, un idillio difficile (nonostante la facilità con cui il cantante ha sempre successo dovunque) perché la donna non subisce il fascino della sua popolarità ed anzi arriva a farsene beffe. Terza storia, una fantasia che oppone Geppo a quelle forze della violenza e del male che è solito avversare nelle sue canzoni; tutta immaginata e sempre a mezza strada fra l’allegoria e la favola.

Le tre storie si intrecciano e si rimandano l’una all’altra: spesso con logica, il più delle volte con molta libertà narrativa, in climi che tendono apertamente al nonsense e, in più momenti, al surreale. Qua facendo sul serio (in certe polemiche sulla non violenza, in certi risvolti di tipo mistico in linea con il Celentano anni sessanta di “Chi era lui”), là, con molta maggiore frequenza, alternando la musica al gioco o, meglio, trasformando le molte musiche in uno spettacolo sempre estroso e giocoso in cui, ad ogni svolta, fa capolino una sorta di umorismo lunare che tende spesso all’astratto, con divagazioni e improvvisazioni sempre in bilico fra lo stralunato e l’assurdo; con una malizia che graffia ed ammicca e che sa intervenire spesso al momento giusto per interrompere con un frizzo tagliente il rischio del troppo detto o del troppo dolce.

Si veda, proprio in questo ambito, la conclusione, non in gloria ma in solitudine, della pagina in apparenza più declamata del film, quella del sermone della montagna pronunciato da Geppo tra le nevi, sciatore tutto bianco a dei giovani tutti in bianco come lui, e, subito dopo, l’ironia con cui, pur dando spazio alla love story, volge l’amore quasi in burla in una baita che sembra abitata da folletti e da spiriti (o dall’Uomo Invisibile). Ma si vedono anche, come esempio di show arcidinamico, oltre alle pagine sulle orme di Tommy che fanno il punto all’inizio in modo colorato e vistoso sui successi di Geppo divo del rock e trascinatore di folle, anche quelle riletture tutta parodia del mito di Valentino campione di tango e, in altra chiave, dei mass media al servizio del divismo (il balletto dei fotografi nell’albergo parigino e, in aeroporto, il presentatore della tv privata ridotto, dai fans, al rango di birillo o di palla da biliardo). Con una frenesia di ritmi e una sveltezza di racconto che possono risultare, in più punti, persino troppo eclectiche e con surrealismi sconfinati nel gratuito, ma con estro innegabile e con innegabile euforia. Senza le invenzioni narrative e visive, se vogliamo, i sapori scenici e i colori magici di Yuppi Du, ma, pur tra impacci, fragilita` e note anche stonate (non musicali, di gusto), forse con altrettanta fantasia e, comunque, con egual senso dello spettacolo solo in apparenza di massa, in realtà sofisticato quasi solo per istinto.

Al centro di tutto, Celentano attore e cantante (in un film di cui è anche soggettista, sceneggiatore, regista, musicista e montatore): il personaggio se l’è fabbricato su misura e si addice a penello sia a certe sue impetuosità da spaccone sia alle furbizie con cui, da solo, se le mette alla berlina: ora astuto ora candido, ora allusivo, ora scoperto, solo un po’ inceppato nei declamati mistici quando sembra di intravedergli alle spalle il Frank Sinatra delle Campane di Santa Maria.

La replica gliela dà Claudia Mori: con accenti caldissimi, anche se di segno quasi opposto: solare dove lui è lunare, tutta svelta e diretta dove lui gioca anche a nascondersi; specie quando tenta ed inventa una sua comicità personale.

23/12/1978 – Il Tempo

Fabrizio

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