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«Con il mio nuovo jazz canta anche Celentano»

da Milano
Piccolo, pochi capelli, un filo di barba, vestito nero; Stefano Di Battista non ha certo il physique du role… Poi ha un grave difetto, sulla carta d’identità ha scritto «jazzman» e questo non aiuta la sua popolarità. Però lui è bravo e ci sa fare, invece di arroccarsi nella torre d’avorio si guarda in giro, va in Tv con Bonolis, recita nella fiction Le tre verità, si insinua al Festival di Sanremo con la moglie Nicky Nicolai e – se non bastasse – sarà in prima fila nel nuovo show di Celentano e nel suo attesissimo cd. «Adriano mi ha chiamato e l’ho raggiunto subito in sala d’incisione. Sono un suo fan da sempre, ci sarei andato anche gratis». Tranquilli, non perde il «vizietto» del buon jazz, da virtuoso del sassofono che unisce le pulsioni del be bop e il soul, la seducente morbidezza della ballata blues e lo swing scapigliato. Quindi piace, però prima è diventato una star in Francia, dove ha condiviso il palco anche con Michel Petrucciani – dove è in vetta alle hit parade con il nuovo cd Trouble Shootin’ – e dove lunedì sera ha conquistato la prestigiosa Salle Pleyel parigina. Ora anche da noi sta recuperando popolarità a velocità supersonica; scontato l’altro ieri il trionfo al Blue Note di Milano (con un gigante della tromba come Fabrizio Bosso, la potente batteria di Eric Harland, le tastiere di Baptiste Trotignon il successo e il divertimento sono di rigore) è un volto noto anche extramusicalmente. Il cameo in tv è andato a mille: «sono apparso in Le tre verità e mi hanno visto tutti, mia mamma ne è molto orgogliosa», scherza Di Battista nell’intervallo del suo show milanese. «Ho un gruppo eccezionale, suoniamo uno per tutti e tutti per uno, se uno cade anche gli altri sono pronti a cadere con lui. Ho un solo rimpianto, non dovevo prendere Fabrizio Bosso, è talmente bravo che mi tiene sempre sulla corda». E infatti i dialoghi tra sax e tromba (spettacolarmente modulata con la sordina) esaltano il pubblico in pezzi come The Jody Grind di Horace Silver o Under her spell dello stesso Di Battista. «I titoli in inglese – si schermisce – li ha voluti il produttore. Il titolo del cd è il messaggio di errore che mi dà il computer». Non un produttore qualsiasi ma Michael Cuscuna, l’uomo dietro ai dischi dei grandi del jazz che ha scoperto un inedito di Charlie Mingus.
A 38 anni Di Battista si guarda indietro e vede un avventuroso passato giocato sull’azzardo e la passione per il jazz. «Ho iniziato a suonare il sax in una banda di quartiere, e ho scoperto il jazz grazie al suono acido di Art Pepper». Poi le lezioni di Massimo Urbani («un improvvisatore nato») ed un crescendo vertiginoso sulla strada di Parigi. «Nel ’94 mi sono trasferito in Francia e ho avuto l’impressione di essere nato lì, mentre in Italia avevo la sensazione di non esistere». Lavora con un transfuga di lusso come il batterista Aldo Romano, con mostri sacri come Michel Petrucciani («simbolo dell’arte totale») e Elvin Jones, batterista di John Coltrane («mi ha insegnato che la musica non ha schemi, è fatta di visioni, di trance come quella di Coltrane. Una volta in aereo gli ho chiesto cosa fosse il jazz e lui mi ha detto di guardare il sole, il cielo: quello è il jazz, ha risposto»).
Ora la gente sgomita per vederlo e i grandi dello spettacolo se lo contendono. A febbraio tornerà con Bonolis a Il senso della vita: «La tv è divertente, soprattutto in un programma intelligente come quello di Bonolis. Stavolta porto anche Bosso, Trotignon e Harland, ormai siamo inseparabili». E con Celentano? Magari sconvolgerà i puristi, ma Di Battista è troppo colto e moderno per preoccuparsi delle etichette. «È un artista completo e gentile, sempre disposto ad ascoltare tutti. Dovevamo fare una canzone insieme, alla fine ne abbiamo registrate tre; con la sua voce così particolare lascia l’impronta su qualsiasi stile. In un pezzo l’ho accompagnato mentre canta lo scat, il tipico canto jazz improvvisato, e vi assicuro che è eccezionale».

di Antonio Lodetti

15/11/2007 – Il Giornale

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