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Mogol: «Le mie parole cantate da Celentano pesano come macigni»

Le Iniziative del Corriere *** Adriano

Quattro dischi insieme e un vero feeling «Il suo timbro vocale ti resta impresso» Domani il quarto libro-cd a 9,90 L’artista raccontato dal celebre paroliere che ha firmato l’album

Inutile chiedergli com’ è scrivere canzoni per Celentano («Io non scrivo per un artista, scrivo e basta»). Inutile domandargli come si comporta in studio di registrazione («Mica ci vado in studio, mi annoio da morire»). Inutile anche ogni tentativo di estorcergli una critica sul Molleggiato («È un uomo libero, e come tutti gli uomini liberi fa di testa sua») o una punzecchiatura su Claudia Mori («È una donna d’ affari, punto»). Ma non bisogna farsi ingannare dalle reticenze: Mogol si diverte eccome a parlare del suo amico Adriano. E, in linea con il Celentano-pensiero, gioca ad essere serafico, sfuggente, spiazzante. Il resto è storia: quattro dischi insieme, quattro milioni di copie vendute. Il sodalizio tra una delle coppie più belle della musica italiana si concretizza nel ‘ 99 (l’ album è «Io non so parlar d’ amore»), ma nasce quasi quarant’ anni prima, ai tempi in cui il clan fondò quella che oggi si chiamerebbe una indie, un’ etichetta indipendente. Mogol firmò diciotto brani (tra cui le celebri «Ciao ragazzi» e «Il tangaccio»), poi le strade si separarono: «Nessun motivo, soltanto un caso – racconta Mogol -. Come è stato un caso il tornare a lavorare con lui. Ero rimasto molto colpito dal modo in cui cantava nell’ album insieme a Mina. Una sera a cena ne discutevo con Detto Mariano, l’ insegnate di musica da film nella mia scuola per artisti di Avigliano Umbro. Mariano l’ ha detto ad Adriano, così Adriano mi ha mandato i suoi ringraziamenti facendomi sapere che aspettava una mia telefonata…». Ciò che colpì Mogol nell’ interpretazione di Celentano è forse la cosa più difficile da insegnare a un giovane artista: la naturalezza. «Less is more, dicono gli americani: la forza interpretativa non ha bisogno di forzature! Noi veniamo dal melodramma e questo ci frega un po’ . Ecco, Adriano ha un timbro vocale di un’ incisività straordinaria, riesce a far pesare le parole come macigni». La telefonata, si diceva. I due decidono di vedersi. Mogol ha qualche canzone pronta e alcune musiche, frutto della collaborazione con Gianni Bella («un artista di quelli veri, troppo sottovalutato», tanto che l’ autore definisce la sua avventura con Celentano «una ricerca della verità a tre»). Dove mancano i testi i due ci mettono sopra delle parole inglesi scelte a caso, giusto per sottolineare la melodia. A Celentano i brani, o i frammenti che lo diventeranno, piacciono tutti. È fatta. Al primo colpo. Sorpreso di aver fatto centro con i primi materiali proposti? «No – racconta Mogol -, anche con Lucio Battisti era così. Solo Cocciante una volta mi chiese di riscrivere un pezzo. Le parole gli sembravano poco adatte a un pubblico giovanile. Di fronte a quello nuovo è però tornato sui suoi passi, alla fine si è reso conto che la prima versione funzionava di più. La canzone? Ah sì, era “Se stiamo insieme”…». Battisti, Cocciante, Celentano. Tre mostri sacri, tre sensibilità musicali diversissime. Che però non cambiano di una virgola l’ approccio del paroliere: «Per me non fa differenza scrivere per l’ uno o per gli altri: il cantante non c’ entra nulla quando compongo una canzone! Solo con le donne è un po’ diverso, non posso certo far dire a Mina quello che direi io. Altrimenti il metodo è sempre lo stesso: parto dalla musica, è lei che mi tira fuori le parole, non la personalità dell’ interprete. Ogni musica ha un suo senso, io mi limito a tradurlo utilizzando frammenti di vita quotidiana, che sia direttamente la mia o quella di chi mi sta intorno poco importa». Il primo disco è un successo da due milioni di copie. L’ anno dopo Celentano-Mogol-Bella fanno il bis, l’ album si chiama «Esco di rado»; nel 2002 è la volta di «Per sempre» (da domani in edicola con il «Corriere»); l’ ultimo, risale a due anni fa, è «C’ è sempre un motivo». «Per sempre» è un lavoro particolare, Celentano appare intimista, nostalgico, riflessivo: «È vero, ci sono momenti di amarezza lucidi e profondi, mi viene in mente l’ amore tradito di “Confessa”. Ma, come accade ad esempio anche in “Non è Francesca”, il protagonista non mi assomiglia affatto: come dicevo, io pesco nel lago della vita, e gli stati d’ animo che mi rimangono nella rete non sono necessariamente i miei. Infatti quello di “Per sempre” non era un periodo triste per me, e poi io non vado nemmeno a periodi: sono un uomo sereno, cerco di non dare troppo peso alle cose e di ricordarmi che dietro l’ angolo c’ è sempre un altro giorno». Mai avuti problemi con Adriano? «No, sul serio. Si impunta spesso, questo è vero. Ha gusti molto precisi, io ne ho altri. Però sono convinto che per chi ha voglia di sperimentare le differenze non sono fonte d’ attrito ma una risorsa in più. Il nostro feeling, del resto, ha radici profonde: siamo milanesi nell’ anima, cresciuti nello stesso periodo, a tre chilometri di distanza l’ uno dall’ altro e circondati dagli stessi amici. Ma quello che ci legherà per sempre è il fatto di aver avuto due madri molto, molto simili: due donne del popolo, dolci e concrete, solide e piene d’ amore. È una cosa che io e Adriano ci porteremo dentro per sempre».

Cutri Fabio

06/03/2007 – Corriere della Sera

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