Le memorie di Adriano
Dal Ragazzo della via Gluck a Yuppi Du, da Azzurro a Pregherò, a distanza di decenni le canzoni di Celentano sembrano ancora in grado di far sussultare un pubblico di adulti e di giovani com’è successo qualche sera fa all’Arena, a Verona. Per non parlare degli oltre 9 milioni di telespettatori che hanno seguito in tv lo show del molleggiato. Solo emozioni effimere destinare a svaporare nel giro di poche ore? Forse sì, ma mi sembra ci sia anche dell’altro. E Celentano lo ha detto efficacemente a suo modo: «Finita la serata ognuno di noi tornerà a essere solo nella propria casa, in attesa di un altro evento, tra 15 giorni o in primavera, che ci farà tornare a stare insieme». Eppure «stare insieme» significa essere legati da qualcosa che ci tiene uniti anche quando siamo soli. Ma noi questo qualcosa non ce l’abbiamo. Una volta ce l’avevamo, ma ora sta tornando. Si tratta di riconoscere il filo sottile che ha la potenza di legarci tutti insieme in un unico ideale. Non è questa forse un’esigenza che ciascuno avverte nel profondo del suo essere? La sensazione di smarrimento e di sconforto che ci prende davanti all’incalzare di notizie negative che ogni giorno ci vengono rovesciate addosso ci obbliga a interrogarci su quale sia il nostro destino e a cercare appunto “qualcosa” che possa diventare un porto sicuro nelle tempeste della vita. In fondo anche di fronte alla crisi che sembra non finire molto dipende da noi. È interessante per questo un altro passaggio di Celentano: «È assurdo e ridicolo pensare che quanto sta succedendo nel mondo sia dovuto a speculazioni economiche, la crisi ha radici molto più profonde. Le sue onde si sono propagate su tutta la terra, ma l’unico vero epicentro è in ognuno di noi. Noi siamo come tanti pezzi di un motore che non trovano più la via dell’assemblaggio, per la messa in moto di un mondo diverso». C’è un accento di verità in queste parole. È come se si fosse spezzato qualcosa che ha a che vedere con la capacità della persona di stare dentro la realtà, di fronte ai problemi, con tutto se stessa mettendo in gioco libertà, energia e intelligenza nel trovare una strada per andare avanti e per migliorare la propria condizione. In passato anche quando non c’era una spinta ideale, restava almeno quella del bisogno e della necessità. Si aveva fame. Oggi in mancanza pure di questa si ripiega, ci si ritira, incapaci persino di immaginare che le cose possano cambiare, oppure si recrimina e si sprofonda nel lamento e nel rancore. Le brutture di Scampia o di Quarto Oggiaro ricordate da Celentano, in questo caso sarebbero destinate a vincere. L’invito invece è quello di «ribaltare il nostro sistema di vita» combattendo «tutti per una stessa idea, la bellezza delle cose»: «Dove le verità non ci vengono rivelate dai governi o dai politici ma dalla vita stessa della natura, che non può essere abbandonata. E l’arte è nella natura e viene da Dio». Provocazioni messe lì nella banalità di una serata televisiva. Possiamo lasciarle cadere oppure riconoscere che ci dicono qualcosa di diverso. Dostoevskij ne «L’idiota» scriveva che «il mondo lo salverà la bellezza». Intendeva che la bellezza è qualcosa che è già presente nel mondo. E la salvezza giungerà al mondo attraverso lo sguardo dell’uomo che saprà scorgerla in tutte le cose, smettendo di rinchiuderla nel carcere dei propri progetti di potere.
14/10/2012 – L’Arena.it