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Gli ingredienti sbagliati del minestrone di Adriano

di Stenio Solinas

Roma – L’italiano non è mai stato il punto di forza di Adriano Celentano e non sorprende quindi trovare nell’articolo da lui scritto ieri sul Corriere della Sera una frase come «L’insediamento degli ebrei ha avuto il riconoscimento di tutte le nazioni per l’immane tragedia subita dai nazisti durante l’Olocausto», le SS come vittime, par di capire… Ma l’impressione è che questa volta non sia solo la lingua a lasciare a desiderare, ma anche la testa, tanto l’intervento è sconclusionato. Siamo in un bunker, dice l’ex molleggiato e infatti guardiamo il varietà in tv per distrarci dagli orrori della guerra in Palestina… Ma è anche vero, continua, che l’Europa e l’America di questo conflitto eterno si lavano le mani, e se è così allora significa che agli orrori siamo abituati, ovvero degli orrori ci disinteressiamo e quindi possiamo tranquillamente fare a meno del bunker come del varietà… E quest’ultimo, certo, sarà pure «una nostalgica boccata d’aria di pace», ma è anche la rappresentazione più ovvia di ciò che per Celentano la televisione non dovrebbe essere: cerimoniosa, qualunquista, perniente conflittuale. Non «rock», come ha sempre sostenuto, rivoluzionaria nel far pensare, ma «lenta», ovvero reazionaria, nel farci addormentare. E allora? Che facciamo? La accendiamo? La vediamo? La rivalutiamo?

Naturalmente, nell’articolo «Noi nel bunker davanti alla Tv» c’è spazio anche per il potere e il profitto «a ogni costo», per «i più deboli che non hanno soldi» e per i morti,ma possiamo sommessamente dire che questa indistinta retorica ad alzo zero hastufato, così come il fattocheperiodicamente Adriano si svegli e scopra che c’è qualcosa che minaccia il mondo,fochemonache comprese?

Celentano è un signore di più di settant’anni enonglifaremo il torto di trattarlo da ragazzino. Ma come artista, e come cittadino, dovrebbe sapere che non basta dire quello che si pensa, bisogna anche pensarea quello che si dice. Nell’intervento giornalistico sopra ricordato c’è invece ungran minestrone in cui si vuol fare stare dentro tutto: la paura e la speranza, la denuncia e la rampogna, l’etica e la politica, Milly Carlucci e la «striscia di Gaza»… Un po’ troppo per un solo uomo, un po’ troppo solo per un cantante.

14/01/2009 – il Giornale.it

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