ACfans

Celentano sbarca al Palaghiaccio
E quella sera nacque una stella

Il Molleggiato fece la sua comparsa sulle scene il 18 maggio del 1957 al Palaghiaccio, in gruppo con Enzo, Gaber e Tenco. “Non piacevamo a nessuno, eravamo troppo di rottura. La vera svolta fu Adriano che cantava in finto americano. Facevamo Pitney, Fats Domino. Giorgio inventò il twist”

di Luigi Bolognini

I marziani atterrarono a Milano esattamente 50 anni fa, il 18 maggio 1957, in via Piranesi, al Palaghiaccio. Il loro capo iniziò a urlare con voce graffiante e ritmatissima cose incomprensibili come “Voglio il tuo amore sol per me sennò / ciao ti dirò / pupa ciao ti dirò / pupa ciao ti dirò”. Risultato, il delirio di massa: ragazzi che spaccavano tutto, prendendo le sedie e demolendole per terra, per la voglia di rompere col passato. La notte, quotidiano del pomeriggio di allora, titolò “Palazzo del ghiaccio devastato dal nuovo divo del rock´n´roll”. Rock´n´roll, ecco l´arma dei marziani. E anche il loro nome: si chiamavano Rock Boys. Il loro capo, il nuovo divo secondo La Notte, era all´esordio assoluto, Adriano Celentano. Sconosciuto come gli altri tre, Enzo Jannacci (piano e chitarra), Luigi Tenco (sax) e Giorgio Gaber (chitarre), che – ognuno a suo modo – avrebbero stravolto la musica italiana di lì in poi.

Ma per quella sera il simpatico complessino del cantante ignoto (si sapeva solo che era nato in via Gluck) stravolse il pubblico del “Festival italiano del Rock and roll”, il primo appuntamento ufficiale in Italia, la nascita nostrana di questa nuova musica nei dintorni dell´eversione. Organizzava un coreografo, Bruno Dossena. I Rock Boys vinsero a mani basse, sbaragliando Tony Renis, Little Tony, Betty Curtis, Tony Dallara, Clem Sacco, Ghigo, tutti antesignani del rock italiano. E vinsero con Ciao ti dirò, che Gaber – l´autore assieme a Tenco – avrebbe inciso l´anno dopo, e sarebbe stato il suo primo successo. Ma il successo è un´altra storia: questo festival è una storia ancora di insuccessi, nonostante tutto. «Sì, quella serata l´abbiamo vinta, ma non piacevamo a nessuno», ammette Enzo Jannacci.

Come mai?
«Perché eravamo troppo di rottura. Andavamo a suonare ovunque ci chiamassero, facevamo lunghi viaggi in torpedone, treno, anche a piedi. Ma poi ci cacciavano senza pagarci, non ci capivano. Le rotture sono sempre difficili, agli inizi. Ma non demordevamo: in Italia dall´America arrivavano film musicali tipo Gangster cerca moglie o quelli con Elvis Presley, capivamo che prima o poi avremmo avuto successo. La vera svolta fu Celentano».

Cioè?
«All´inizio i Rock Boys eravamo io e Gaber. Poi si unì Adriano, che aveva avuto un notevole successo come imitatore di Jerry Lewis, del suo modo dinoccolato di muoversi, di una certa follia nel parlare e nel ragionare. Ma faceva fatica: non sapeva l´inglese, non l´ha mai saputo. Allora io e Pino Sacchetti, grande sassofonista, gli mettemmo in bocca le cose. E quando parlava sembrava un americano vero. Pian piano arrivò un po´ di successo: facevamo cose di Gene Pitney, Fats Domino, Chuck Berry, e Giorgio inventò il passo del twist in Italia».

Oltre al successo arrivò anche Tenco.
«Dalla Liguria, col suo sax. Un musicista formidabile. Nel 1958 suonammo a Norimberga, a rimpiazzare Elvis Presley, che faceva la naja in Germania, ma non ebbe la licenza. Adriano fallì, non andava a tempo. Salì Luigi e fece canzoni di James Brown col sax. Venne giù il locale».

Torniamo a quel 18 maggio 1957.

«Una serata stranissima. Andando al Palaghiaccio ho chiesto: “Ma come ci chiamiamo? Sempre Rock Boys?”. Adriano mi rispose: “Non ti preoccupare, siamo i Celentano”. E fece davvero impazzire tutti, quella sera, appena partì con Ciao ti dirò. Era in una forma strepitosa, ma è sempre stato un animale da concerto, bastava vederlo in azione per capire che sarebbe diventato il più grande di tutti».

Avevate la sensazione di scrivere un pezzetto di storia della musica italiana?
«Proprio per niente. Non mi ricordo neanche cosa fu il premio. Noi volevamo solo divertirci e campare di musica. Io continuavo a studiare medicina, anche se facevo molta fatica, ma la sera suonavo per mantenermi, al night o dove trovavamo. L´unico che voleva andare lontano, e ce l´ha fatta, era proprio Adriano. Che tempi. Però li rimpiango. Mica per altro: avevo 50 anni in meno sul groppone».

11/05/2007 – La Repubblica – Milano

Exit mobile version