ACfans

Celentano “Canto Cernobyl per dire no alla follia nucleare”

Ne “L’animale” brani d’amore e denunce ambientaliste

MARINELLA VENEGONI

MILANO – Un doppio Celentano, vitale e civile, sorridente e poi incattivito per le pessime condizioni del pianeta, compare sulla copertina lenticolare de L’animale in uscita oggi. Titolo suggerito da Jovanotti, il disco raccoglie le due anime dell’artista più italiano che ci sia: da una parte, 14 brani che hanno fatto sognare più generazioni, mentre le canzoni «contro» allineano i temi di una vocazione storica del Molleggiato ecologista. Ogni cd ha un inedito: nel primo La cura, riorchestrato per Adriano dallo stesso Battiato e più pop dell’originale; nel secondo, l’annunciata, lunga e feroce suite salmodiante Sognando Cernobyl, sul web da stasera per tre giorni: 11 minuti di immagini che l’autore definisce «devastanti».

Sognando Cernobyl appartiene alla sua vasta ispirazione di ecologista ante litteram. Fra i disastri da lei cantati, l’effetto serra, la contaminazione da scorie nucleari, la pena di morte, gli incendi dolosi, le colate di cemento. Che cosa ha fatto scattare l’ispirazione?
«I fatti sono tanti, come può sentire nel brano, ma quello più preciso che mi ha spinto, dopo tanto tempo, a scrivere una canzone come Sognando Cernobyl è stato quando il Governo, con disinvolta irresponsabilità, ha annunciato la costruzione di nuove centrali nucleari. Ma, a parte questo, alla base di tutto c’è la spaventosa disonestà dell’uomo, la cui via è inesorabilmente diretta verso il baratro. E allora anche il clima si incazza…».

Lei è stato il primo a parlare di paesaggio deturpato e di vita rovinata dal cemento già nei Sessanta, quando nessuno ci pensava. Quale è stata la primissima canzone che ha scritto sull’argomento?
«La prima è stata Il ragazzo della via Gluck, un brano autobiografico dove racconto il trauma subito quando dai campi della via Gluck sono stato catapultato in pieno centro di Milano. Da lì ho cominciato a osservare l’habitat dei diversi rioni, dove qua e là si vedevano già grandi i segni MALEFICI dei costruttori che accerchiavano e strangolavano la città con la loro devastante ottusità. Così mi divertivo a girarla, questa Milano, che un tempo era una delle più belle città d’Europa. Giravo e fantasticavo sulle costruzioni da lasciare e quelle da buttare giù. È questa, secondo me, la cosa cui darei la priorità se fossi un capo di governo. Perché in essa è racchiusa la chiave per risolvere tutte le cose. Ma per fare questo bisogna prendere a calci la “voglia di potere”. E i politici non ce la fanno…».

Chi ha più responsabilità in questo campo? I politici, gli scienziati, i geometri-architetti-ingegneri, i Comuni? Noi tutti?
«La cosa che più di tutte mi intristisce è l’accettazione della gente. La gente accetta il brutto. Il brutto che il politico le rifila. Lo accetta, pur consapevole che lontano dalla bellezza ci si ammala, si diventa apatici, pallidi e opachi. Chi mi fa indignare invece, sono i comuni. Non soltanto quello di Milano e i sindaci che dal Dopoguerra si sono susseguiti nella distruzione di quella creatura che fu, “la bella ambrosiana”. Ma i comuni di tutto il mondo. Sono loro i mandanti del massacro. Poi c’è la crisi, e tutti pensano che sia solo un fatto economico. Mentre invece non è che un derivato della confusione mentale dell’uomo cosiddetto moderno. Sono del parere che se quest’uomo non si volta indietro a guardare quel se stesso che nel corso dei secoli ha perso per strada e che con disprezzo chiamava “antico”, non ce la farà a rimettere insieme i pensieri che lo fanno camminare. Ma nel caso trovasse la forza di voltarsi, la prima picconata, tanto per fare un esempio simbolo che vale per tutte le città del mondo, la si deve dare al nuovo ossario in costruzione a Milano, che chiamano il nuovo Pirellone, e ridare la vista alle persone di quella casa che hanno nazisticamente imprigionato. Dalle loro finestre vedevano il Monte Rosa. Ora sono chiusi dentro, imbottigliati nell’ombra cemento, dove persino al sole è vietato l’accesso».

La cura di Battiato è una canzone difficile da cantare. Come l’ha scelta, e perché?
«Non l’ho scelta. Un giorno Claudia mi parlò di questa canzone che fu un grande successo di Battiato e che conoscevo. Dissi subito di sì, mi piaceva l’idea e La cura credo sia una delle più belle canzoni d’amore degli ultimi trent’anni. La mia “Storia d’amore” è stata fatta quarant’anni fa…».

Si sente spesso parlare di un suo ritorno in tv. È vero?
«Qualcuno ha dato questa notizia… forse per spronarmi in caso mi fossi dimenticato. Ma non lo so. La voglia di giocare non mi manca, e giocare col pubblico è una delle cose che più mi divertono. Però non lo so, devo pensarci».

28/11/2008 – La Stampa

Exit mobile version