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Adriano Celentano e Paolo Conte, uniti da “Azzurro”…

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Di Franco Zanetti

Paolo Conte è nato ad Asti il 6 gennaio del 1937, Adriano Celentano è nato a Milano il 6 gennaio del 1938: separati da un anno esatto, ma uniti dal giorno della nascita (auguri a entrambi!), due fra i più grandi nomi della musica leggera italiana sono indissolubilmente legati da una canzone: “Azzurro“.
Uscito nella tarda primavera del 1968, “Azzurro” è un brano che parla d’estate, ma non al mare: in città, dove si aggira un uomo che vorrebbe evadere – e forse non solo dal suo giardino – ma è frustrato da desideri e pensieri che “vanno all’incontrario”.

A cantare il brano, con voce volutamente sottotono (anche per via di un’infreddatura) è Adriano Celentano, che non presenta la canzone al Disco per l’Estate, né al Cantagiro.
In effetti, per tutta l’estate il “Molleggiato” è pressoché invisibile, impegnato com’è nelle riprese di “Serafino” di Pietro Germi. Nonostante la mancanza di promozione, il 15 giugno 1968 il disco entra in classifica: per tutta l’estate rimarrà nelle prime dieci posizioni. Persino Celentano pare stupito dal successo, e commenta: “Ogni tanto è bene scomparire per qualche tempo. Che la gente non mi ha dimenticato lo vedo dal successo del mio disco: ‘Azzurro’ ha già raggiunto il milione di copie e sta aumentando continuamente”. E’ la verità: a settembre, mentre le altre canzoni scivolano verso il basso, “Azzurro” sale al n.1 della hit-parade: abbandonerà la vetta solo il 5 ottobre – ma uscirà dalla top ten solo il 16 novembre. Quel giorno, tra l’altro, gli autori Conte e Pallavicini saranno nuovamente in classifica grazie a “Insieme a te non ci sto più”, cantata da Caterina Caselli.

Negli anni, “Azzurro” è diventata, oltre che il cavallo da battaglia di Celentano, uno degli “evergreen” della canzone italiana. E’ stata interpretata da diversi artisti, da Mina al jazzista Giorgio Gaslini, da Gianni Morandi a Fiorello agli Skiantos – ma il suo autore Paolo Conte ha sempre avuto una certa ritrosia nel cantarla di persona. Solo nel 1985, con oltre dieci anni di carriera solista alle spalle, l’avvocato di Asti inserisce il brano in un suo disco (“Concerti”, 1985): è una versione dal vivo e piuttosto abbozzata. Probabilmente Conte ritiene che la voce adatta a cantare quel brano sia proprio quella di Celentano, e che sia difficile trovare un arrangiamento migliore di quello di Nando De Luca (ex batterista di Luigi Tenco, al fianco di Celentano anche per “Una carezza in un pugno” e “Storia d’amore”). Solo nel 1998 Conte inciderà una versione in studio di “Azzurro”, scegliendo ancora una volta un arrangiamento pianistico ed essenziale.

“Quando uscì ‘Azzurro’ ci fu una levata di scudi perché andava controcorrente rispetto ai ritmi dell’epoca”, sostiene Paolo Conte. “Sogghignarono in molti, ma io me ne infischiavo perché avevo applicato a quella canzone degli echi poetici che fanno parte della nostra sensibilità. Fui capito dal pubblico: ‘Azzurro’ ebbe un grande successo. Tutte le mie canzoni nascono con questo spirito: scrivere una musica fuori moda, un po’ segreta, che vada a cercare in fondo a noi le risonanze della nostra identità (…) ‘Azzurro’ era piuttosto stramba: una marcetta. Nessuno scriveva marcette. Io lo feci per ragioni poetiche. Secondo me la marcetta è radicata nel profondo del nostro cuore. Al di là delle mode”.

In effetti, qualche mese prima Paolo Conte aveva appena ottenuto il suo primo successo con un altro genere demodé: il valzer de “La coppia più bella del mondo” – interpretata sempre da Adriano Celentano, uno dei suoi cantanti preferiti.

Le possibilità che avevo come autore erano ridotte, perché non volevo scrivere né una cosa qualsiasi né per una persona qualsiasi, ero molto filoamericano. I cantanti italiani non mi piacevano, con quelle voci sdolcinate, artificiose. In generale, non amo quei cantanti che non cantano con la loro voce, con la voce che usano nella vita. Quelli che cantano così sono rari e sono questi che mi interessano. Allora c’erano Celentano, Patty Pravo, Caterina Caselli, Ornella Vanoni, Jannacci. Ancora oggi essi mi interessano per la loro capacità di cantare come esseri umani, con una pronuncia credibile dell’italiano. La lingua italiana, tanto bella, tanto ricca, tanto poetica, è anche tanto difficile dal punto di vista ritmico. Il pregio di Celentano è quello di essere capace di rendere immediatamente intelligibile un testo cantandolo, fosse anche l’elenco del telefono. Non è una questione di teatralità ma un modo umano, perfino banale, di interpretare una canzone. E’ completamente naturale, ma non si perde una sillaba, si capisce tutto. Mia madre pianse quando lesse le parole. Diceva che questa canzone era antica e moderna insieme. L’antico era soprattutto nella musica, come una tenerezza d’altri tempi, e proprio in questo sentimento risiedeva anche la sua modernità: era una canzone trasgressiva nell’epoca beat in cui è nata. Rimane una canzone importante per me, e non l’ho mai dimenticata”.

Conte capì subito che “Azzurro”, con il testo di Vito Pallavicini, era un pezzo vincente. “L’ho scritta pensando proprio a Celentano. Il successo lo devo a lui, l’avessi cantata io non sarebbe andata da nessuna parte. Con Celentano poi ci saremo visti tre, massimo quattro volte nella vita”. La canzone è diventata un inno collettivo. “Se ne sono impadronisti i torpedonisti”, dice scherzando. E lui ha mai cantato “Azzurro” su un pullman? “Per carità, soffro di nausea”.

06/01/2023 – Rockol.it

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