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60 anni con Adriano Celentano – Yuppi Du

Adriano Celentano e Claudia Mori nel film "Yuppi Du" (1975)

Dodicesimo appuntamento con la rubrica 60 anni con Adriano Celentano, incentrato su Yuppi Du, il film capolavoro del 1975 diretto, prodotto, musicato ed interpretato da Adriano Celentano. Vi proponiamo quindi due articoli tratti dal Corriere della Sera: il primo, firmato da Ettore Mo, risale al 9 Luglio del 1974 e riporta, direttamente dal set, le prime dichiarazioni di Adriano sul film (allora ancora provvisoriamente intitolato Acqua sul nostro amore), mentre il secondo, firmato da Angelo Maccario, risale al 12 Maggio del 1975 e riporta le dichiarazioni di Adriano alla conferenza stampa avvenuta dopo la proiezione di Yuppi Du al Festival di Cannes.

E’ “naif” il film di Celentano

Incontro sul set a Venezia dove si gira “Acqua sul nostro amore” – “Dentro questo rotolo di pellicola, dice l’autore, prendo a calci quel tipo di sistema che uccide il sentimento” – La sua “partner” Charlotte Rampling per la prima volta in veste comica.

Venezia, 8 Luglio
Sono le otto, il sole è già caldo. Sull’acqua verde dei canali scoppia la festa. In campo Santa Giustina un’umanità svitata, contenta e multirazziale si lancia nel boogie-woogie scatenando una girandola di facce e vestiti dai colori più rissosi: cinesi, negri, splendide mulatte, ragazze sulle cui gote lattee sono fioriti d’improvviso simboli hippy rossi e celesti. Si direbbe l’incontro, su questa piazza del Cinquecento, del più eterogeneo turismo estivo. Ma c’è un carrello che va avanti e indietro su una rotaia di pochi metri: e sul carrello c’è una macchina da presa, e dietro la macchina da presa, anzi incollato ad essa, c’è lui, Celentano. Da Maggio sta cucendo assieme la trama di questo film tutto suo attorno cui ha cercato di elevare, fin dall’inizio, una barriera di segretezza.
Che sia una creatura sua, non c’è dubbio. E’ produttore (insieme con Rodolfo Putignani, il “re dei diamanti”), regista, protagonista (con Charlotte Rampling), autore della musica. Vuole che il parto avvenga lontano da occhi indiscreti ed è nel suo diritto. Ma oggi abbassa un po’ la guardia, ci lascia curiosare sul set. La scena che sta girando, festosissima, non scopre le carte: è un momento di gioiosa fantasia, libero, isolato, che non offre possibilità di scandaglio sulla trama. La vicenda si svolge interamente a Venezia ed anche il titolo che ci hanno indicato, ma che potrebbe essere provvisorio, è lagunare: “Acqua sul nostro amore”. E’ un’acqua che costa cara. Se la stima è giusta, i conti dovrebbero stabilizzarsi poco sotto i due miliardi.

Una scena, 100 milioni
Celentano, adesso, non ci pensa. Gioca la sua prima grossa carta con l’arte prima che con le finanze. E’ molleggiato più che mai. Si snoda e si dimena davanti a ballerini e comparse: vuol far vedere cosa può diventare un corpo umano quando il ritmo lo scatena. Un capellino di tela sulla testa d’imperatore romano impedisce che il sole gli fonda il cranio. Gli orchestrali (una trentina) si difendono con berretti e visiere da ferrovieri elvetici. I ballerini (ventiquattro, agli ordini del coreografo istrione John Lee), indifesi, intrecciano arabeschi sulla pietra rovente, con facce da collasso. L’amministratore, in un angolo, fa i suoi giochi astratti: “Questa scena – dice – viene a costare da sola 100 milioni”.
Ci appartiamo, all’ombra, con il boss dell’impresa:

E’ un grosso rischio, Celentano, questo film?
“Lo è sicuro. Ma io sono un giocatore nato, non mi spaventa”.

Lei è già stato una volta dietro la macchina da presa, ma questa è la sua prima vera regia. Una storia voluta da lei, sceneggiata da lei e, mi dicono, giorno per giorno reinventata da lei sul set. Come è nata l’idea di questo film?
“Beh, l’idea…a me piace raccontare delle storie. Il cinema mi permette di raccontarle, invece che a pochi amici, a quaranta o cinquanta milioni di persone. Ed è un piacere immenso quando ci penso. Poi, forse ancora più che nelle canzoni, questo mezzo mi consente di esprimere ciò che penso, ciò che mi sta a cuore: sempre nell’ambito del divertimento, beninteso. Perché dentro di me c’è una gran voglia di ridere, anche se oggi non è facile, anche se mi accorgo che per ridere e far ridere bisogna organizzarsi e lavorare molto”.

E’ una storia d’amore?
“Sì, è una storia d’amore”.

Si ferma qui. I denti ben chiusi, i labbroni appena socchiusi. Custodisce il suo segreto con un sorriso. Sappiamo che lui è Felice e che lei – Charlotte Rampling – è Silvia, che sono due poveracci di Venezia che si innamorano, che non sui sposano, che finiscono in una strana maniera. Sappiamo che lui le urla una frase d’amore dalla balaustra dell’orologio dei Mori, quando la vede affacciarsi al campanile di San Marco e che lei, presa da un impulso romantico, scende da un campanile e sale sull’altro, quattro gradini alla volta, per abbracciarlo. Sappiamo anche (un altro dettaglio fuggito alla congiura del silenzio) che Felice è così folgorato, un giorno, dal passaggio di Silvia, dal triangolo nero del suo slip, da non accorgersi che il suo compagno di lavoro, pure in trance, gli sta configgendo nella mano il chiodo destinato ad un’asse. La stigmata dell’amore. Ma la nostra supplica per un po’ di trama non viene accolta.

“Sono sempre stato contrario a raccontarla – dice Celentano – perché il pubblico che va a vedere un film non deve sapere di cosa si tratta. Se glielo dici lo derubi del piacere della sorpresa, ed è un bel furto. Posso dire solo questo: è una storia d’amore dove i problemi più toccanti sono le donne ed i soldi. Questi due mostri che, il più delle volte, quando li incontri ti danneggiano, ti rovinano, fanno scoppiare le guerre”.

Lei nel film, che tipo di uomo è?
“Tragicomico. Tutto il film è tragicomico”.

Altri temi, oltre l’amore e i soldi?
“C’è uno sfondo sociale. Ci sono delle accuse. Più forti, più violente che nelle mie canzoni. Prenderò qualche denuncia”.

Perché? Chi tocca?
“Tocco, tocco…io sono sempre commosso dalla bellezza della natura. Ma non fraintendiamo. Questo non è un film ecologico. Dico natura nel suo senso più vasto, dico cioè fra gli uomini, dico l’amore fra un uomo e una donna. Ecco, dentro questo rotolo di pellicola vorrei prendere a calci quel tipo di società, quel tipo di sistema che uccide il sentimento”.

Si rimette il cappellino e torna sul carrello. Lo staff dei collaboratori è solido: Alfio Contini (direttore della fotografia), Sofia Scandurra (aiuto regista), lo scenografo Bruchiellaro. Contini è fra quelli che a Bereguardo precipitò in acqua dalla zattera, incidente che costò la vita ad un’attrezzista: “Fortuna – ricorda – che ad un certo punto la corrente mi sfilò gli stivali, altrimenti non sarei qui”.

Il “Clan” al completo
Celentano può anche contare sul suo piccolo Clan. C’è la moglie, Claudia Mori, bellissima e zingaresca (“Non so se ci sarà un ruolo per lei – dice sornione – Glielo diamo?”), c’è il nipote Gino Santercole, che fa la parte di uno sciancato (Napoleone), costretto a vivere su una sedia a rotelle, c’è Memmo Dittongo, industriale rutamatt, amico di Adriano dai tempi della Via Gluck, c’è Jack La Cayenne, che nel film balla una sfrenatissima danza e che fu suo partner d’arte negli anni della gavetta, anni eroici. Quando si esibivano all’Arethusa di Milano, Jack prendeva come compenso un panino e mille Lire, il molleggiato un panino soltanto.
Chi manca, sul set, è Charlotte Rampling. Non le rimangono da realizzare che poche scene ed è corsa in Francia, a Lione, per girare un film con Chèreau. Si ricongiungerà alla troupe fra qualche settimana. “Il film è nato per Charlotte o la scelta è venuta dopo?”, chiediamo ancora al regista.

“Dopo. Ho pensato a lei per quella magia che ha negli occhi verdi. Questo è un film completamente magico”.

Ma è vero che vedremo anche una Charlotte comica?
“E’ verissimo. Nei film che ha fatto finora è stata sempre tragica, angosciata. L’ha mai vista ridere veramente, lei? Ebbene, questa volta sì. Ha doti comiche sorprendenti. Vedrete. Senza di lei non saremmo arrivati agli stessi risultati. Perché questo è un film magico, un film pazzo, un film naif. E quando dico naif voglio dire che ho adottato delle soluzioni tecniche, magari ingenue, ma che danno un taglio nuovo alla pellicola”.

La musica però è tanta. Come può essere definito questo film? Un musical? Un balletto?
“Nè l’uno nè l’altro. La musica certo è importante, fa parte del dialogo, è una protagonista. Perché io sono convinto che la vita è musica, si tratta di vedere chi va a tempo e chi no”.

Ettore Mo


Celentano “interrogato” a Cannes

Cannes, 11 maggio
Miracolo a Cannes. Quelli che da Celentano si aspettavano dichiarazioni “rodomontesche” alle quali il cantante cineasta piace indulgere in Italia, sono rimasti delusi.
Durante la conferenza stampa tenuta dopo la proiezione mattutina di Yuppi Du (caratterizzata da parecchie risate, qualche sibilo e alcuni applausi a schermo acceso), l’Adriano solitamente e ostentatamente sbruffone e invadente è apparso modesto e pacato.
A chi gli ricordava come qualcuno, a proposito del suo film, abbia tirato in ballo “nomi” prestigiosi come quello di Beckett, Ionesco, Arrabal, Jodorowsky, eccetera, Celentano ha risposto con schiettezza di non conoscere le loro opere: “Figuratevi – ha poi aggiunto con un tocco di arguzia – che Jodorowsky, prima che i suoi lavori fossero paragonati al mio, l’avevo sempre confuso con Dostojevskij…”
Un giornalista parigino ha cercato di “provocare” Celentano sottolineando che, a suo parere, in Yuppi Du si coglie un certo parallelismo con i capolavori di Fellini.
Ma Adriano non ha abboccato all’amo e ha replicato secco: “Non ci credo! Fellini è Fellini, ecco tutto!”.
Dopo di che, ha avuto parole di gratitudine per Franco Ambrosio (il quale ha finanziato per metà il suo film, costato a suo dire un miliardo e settecento milioni, allorchè la lavorazione stava per essere sospesa per mancanza di quattrini), per i critici italiani, che hanno apprezzato la sua fatica, e per Charlotte Rampling.
“Perché ha scelto questa attrice?”, gli è stato chiesto. E Adriano ha precisato: “Per il suo sguardo surreale, per i suoi occhi di ghiaccio, per quella sua bellezza che attrae e travolge di primo acchitto. E poi, per la sua notevole intelligenza… Non per niente ha accettato di far parte del cast subito dopo aver letto la sceneggiatura…”
Domanda di un cronista belga: “Cosa significa Yuppi Du?”. Risposta: “Tutto e niente. E’ un grido d’amore, di gioia e di dolore”. “Ma in quale lingua si può sapere?”. “In tutte le lingue. E’ un grido universale”.
“Perché ha ambientato il suo film a Venezia?”
“Perché è l’unica città, grazie alla sua particolarissima configurazione, dove si riesca a vivere a misura d’uomo, contestando l’inquinamento che sta sommergendo il resto del mondo”.
“Farà altri film?”. “Naturalmente. Ho capito che quel che ho da dire riesco a esprimerlo meglio in un film che in una canzone: soprattutto perché una pellicola dura due ore, e c’è dunque tutto il tempo di manifestare quel che si ha dentro”.
Un altro “reporter” ha osservato che in Yuppi Du (uno dei due film che rappresentano ufficialmente l’Italia al festival di Cannes) gli è parso di cogliere qualche influenza dei filmetti pubblicitari e di una trasmissione della televisione francese che corrisponde alla nostra Canzonissima. E’ stato l’unico momento in cui Celentano ha mostrato una lieve irritazione. Ha asserito: “I caroselli alla tv italiana io non ho mai tempo di vederli: me li raccontano i miei figli. Quanto alla Canzonissima francese, non l’ho mai veduta. E’ già “pesante” quella italiana, figuriamoci se mi do la pena di assistere anche a quella parigina…”
Da segnalare infine che un’altra bomba notturna ha turbato i sonno di Cannes: ma quella volta il festival non c’entrava, l’attentato era diretto contro la villa di un ricco industriale aeronautico.

Angelo Maccario

Lo staff di ACfans.it

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