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60 anni con Adriano Celentano – Vinicio Capossela intervista “il capo Clan”

Adriano Celentano e Vinicio Capossela

Per il decimo appuntamento con la rubrica 60 anni con Adriano Celentano, vogliamo proporvi questa bella intervista rilasciata dal Molleggiato al cantante Vinicio Capossela per La Repubblica XL di Gennaio 2009.

Adriano aveva da poco pubblicato la raccolta “L’animale”, contenente Sognando Chernobyl (di cui si parlerà nell’intervista) e la sua personalissima versione de La cura di Battiato.

Caro Adriano, mio padre una volta ti ha sognato e… si è spento il sole.

Il papà di Capossela non solo è fan del molleggiato. E’ molto di più: un devoto, un “Celentano nell’anima” e allora il figlio ha chiesto consigli e dritte a lui per la prima esclusiva chiacchierata che Adriano fa con un suo collega.

Prima di iniziare con l’intervista devo fare una premessa. Mio padre è un tuo fan scatenato, anzi è un DEVOTO… Quando eravamo piccoli a volte si svegliava e diceva: “Ho sognato Celentano!”. E laddove non trovava le parole, prendeva in prestito quelle delle tue canzoni, che per me diventavano quindi quasi delle parabole (mostra la foto di suo padre ad Adriano, ndr).

“Bello tuo padre”

E allora, prima di venire qui, ho chiesto a mio padre cosa avrei dovuto chiederti. E mio padre mi ha detto: <<Chiedigli, di tutti i pezzi che canta, oltre 500, lui quale rilancerebbe>>.

“Pensa, neanche io sapevo di aver inciso così tante canzoni. Le prime che mi vengono in mente sono Storia d’amore, Un albero di 30 piani e Prisencolinensinainciusol… Sono molto attratto da questo pezzo perché è particolarmente originale. Mi dicono sia stato il primo brano rap del mondo, uscito più di dieci anni prima dei primi dischi rap”

Lo sappiamo. E’ vero!

[Riprende] “E poi Un albero di 30 piani, perché rappresenta la sintesi del mio pensiero riguardo alla cementificazione. Già allora facevo casino con le mie battaglie che faccio da sempre. Tu le condividi?”

Sì, come no. Un albero di 30 piani, pensa, io proprio me lo immaginavo. A proposito… anche il tassista che ci ha accompagnati, sapendo che venivamo da te mi ha detto, con il solito affetto che tutti nutrono nei tuoi confronti, di farti una domanda. E sarebbe, se c’è una speranza.

“Sai… ultimamente sono sfiduciato. E’ difficile che chi governa il mondo capisca i pericoli che ci stanno facendo correre. Sono troppo impegnati a curare altri interessi! Ho l’impressione che tutto vada peggio. Però… chissà. Qualcosa di buono certamente c’è. Ad esempio questa mattina sul giornale ho letto che hanno scoperto la proteina che ucciderebbe il cancro. Questa è una buona notizia, se è vera. Ma per il pianeta sono pessimista… Tu no?”

Beh!… da un lato c’è la tecnologia e lo sviluppo che ha portato l’espansione dei mali e d’altro canto grazie al progresso si è allungata la vita. Lo diceva già Pasolini: “Amo il progresso, ma odio lo sviluppo”

“Anche io la penso come lui. Non sono contro il progresso. Sono contro lo sfruttamento generativo degli uomini e del pianeta. Vedi gli OGM… è giusto credere di mangiare una mela che invece è un pesce?”

Faccio un passo indietro e ti ricordo un episodio, che poi c’entra anche con quanto stiamo dicendo. Quando io e te ci siamo visti per la prima volta allo Smeraldo, tu eri venuto a vedere Paolo Rossi e io allora lavoravo con lui. Siccome Paolo sapeva del grande affetto che mio padre nutre nei tuoi confronti, abbiamo organizzato nel camerino un’improvvisata. Appena ti ha visto ti ha chiesto: “a casa tutto bene?”. Vedi, mio padre ha pensato di farti questa domanda perché ti considera uno di famiglia. E tu gli hai risposto nel modo più semplice e normale: “Si tutto bene. Lo sai vero che ho tre figli piccoli che prima o poi cresceranno?”. Io osservavo te e mio padre, in quel momento si accomunavano dei destini apparentemente così diversi, distanti dalla quotidianità. Mi è sembrato bello che in vite così diverse, la tua e quelle di mio padre, queste distanze non c’erano per niente. Perché hai scritto e detto cose dirette e comprensibili a persone molto diverse che si sentono parte di te. Questo è il vero successo.

“E’ vero, E’ proprio questo il vero successo. Io ho sempre cercato di parlare direttamente e onestamente con le persone. Non amo stare al chiuso, isolato, anche se a volte qualcuno lo dice. Io mi sento sempre tra loro. Con le persone come tuo padre che poi era uguale al mio”

Una persona come mio padre avrebbe meno difficoltà a parlare con te, se fosse al posto mio. Sicuramente saprebbe come parlarti.

“Allora la prossima volta porta anche tuo padre!”

Promesso. Che rapporto hai con le esibizioni dal vivo?

“Buono. Mi piace il rapporto live con il pubblico. Ma essendo portato a fare pause, anche i concerti sono molto diluiti nel tempo”

Ah già, le tue famose pause…

“Sì. Le pause servono. Anche parlando. Mentre ad esempio in televisione hanno paura di fare una pausa tra una parola e l’altra. Anche gli speaker del telegiornale temono le pause, mentre sarebbe meglio farne di più per far riflettere su ciò che si sta ascoltando. I silenzi, le pause, sono importanti. Io faccio le pause perché di natura sono così. A Fantastico, la prima pausa fu quasi casuale perché l’emozione era talmente forte che quando uno del pubblico disse “Bravo!” io istintivamente lo ringrazia distraendomi dal filo del pensiero che in quel momento era concentrato su ciò che avrei voluto dire. E iniziai a passeggiare in silenzio in lungo e in largo per lo studio televisivo. Il pubblico con il fiato sospeso, taceva e osservava il mio camminare silenzioso. Non si era mai visto nulla del genere in televisione. Capii subito che stavo facendo la cosa giusta. Quel Fantastico infatti, caratterizzato dalle mie pause, fu un successo”.

Sei uno degli artisti più noti al mondo, perfino nelle Russie… per te impazziscono. Qualche anno fa ero in un posto molto alternativo di Mosca e improvvisamente vedo tutti ballare un tuo pezzo che al tempo non conoscevo… si intitolava Stivali e colbacco e fa parte di un tuo album intitolato Il forestiero che a me piace tantissimo.

“Questo amore delle Russie come dici tu, è nato nei miei confronti tantissimi anni fa… senza che io ci fossi andato, almeno non fino al 1987 e per una sola volta. Di solito non prendo l’aereo, ma quella volta fui invitato a proiettare il film Joan Lui e pensai che era destino che andassi. Dopo tutto ero “in missione”. Come nel film dei Blues Brothers…”

Adriano, io ho notato che tu parli sempre di Gesù, di Cristo. Non nomini quasi mai Dio.

“Perché per me la vera rivoluzione l’ha fatta Cristo. Si è materializzato e si è fatto uomo. Dio, Gesù e lo Spirito Santo cioè la Trinità sono praticamente tre persone “in una”… che non è facile neanche per me capirla bene. Lo Spirito Santo io credo che sia la coscienza di ognuno di noi. Quella capacità di saper distinguere il bene dal male, quel soffio di infinito che ci permette di avvicinarci al divino”

[COMMENTO: Adriano, rivolto al fotografo Giuseppe che sta immortalando i due, dice: “Lo sai, vero, che tutte queste foto le butteremo?”]

Oltre alla musica, hai fatto anche molto cinema e di grande livello. Hai lavorato con leggende come Sophia Loren, Monica Vitti, Anthony Quin con il quale hai recitato nel film Bluff – Storie di truffe e di imbrogli. Cosa si prova a lavorare con artisti importanti come loro ed in particolare con Anthony Quin?

“Era un uomo simpatico oltre che un grande attore. Diventammo molto amici e lui si fidava di me. Un giorno, anni dopo, Anthony mi telefonò dall’America dicendomi che aveva visto il film Yuppi Du e ne era rimasto entusiasta. Mi disse che avrebbe voluto farlo uscire in America”

A proposito di cinema, la tua straordinaria partecipazione a La dolce vita come è avvenuta?

“Fellini vide una mia foto scattata durante uno spettacolo dove per entrare la gente sfasciava vetrine e sedie e chiese chi era quel pazzo che scatenava tutto quel putiferio. Si informarono e venni convocato a Roma. Io ero proprio agli inizi. Presi la mia valigia e andai. Avevo solo i soldi per il treno e di colpo mi sono trovato nella storia del cinema. Fellini”

Poi quell’altro bellissimo film, Urlatori alla sbarra, con la famosa scena in cui tu chiami Chet Baker mentre era dentro la vasca da bagno.

“Era un tipo strano. Ogni tanto spariva. Una volta lo trovammo sotto il divano che fumava. Però era un grande trombettista. Avvertivo la sua forza”

Un’altra domanda, Adriano, sempre da parte del mio genitore. Mi dice che Pietro Germi è stato uno dei primi che ha riconosciuto il tuo talento.

“Sì è vero. Mi chiamò per Serafino. Il primo provino andò male, mi disse che sarei stato più adatto a fare dei film gangster, con Jean Gabin. Ma io ci tenevo a fare questo film e gli chiesi come doveva essere questo Serafino. Lui mi disse che lo immaginava un tipo allegro, sorridente, che saltava come un grillo. Allora gli dissi: “Pietro, guarda che Serafino sono proprio io. Il gangster che hai visto prima in me, era una finzione”. Il secondo provino andò bene e feci il film”

Parlando di gangster… e di gente comune… gira la leggenda che tu sia uno che piace molto ai malavitosi.

“Pare di sì. A volte ne ho avuto dimostrazione. Mi è capitato tempo fa di fermarmi a un autogrill e c’erano quattro persone, che facevano il gioco delle tre carte. Mi fermo, loro mi riconoscono e mi salutano con simpatia. Mi avvicino e gli dico: “Ma come funziona questo gioco?” e uno di loro mi dice: “Vuoi giocare?” e io “Si, proviamo”. Allora uno dei quattro dice al suo amico “No, no… cosa vuoi fare… a lui non puoi fare questo”. “Ah… ma allora è vero che c’è il trucco…” e lui: “Beh, altrimenti come si farebbe, siamo obbligati”

Ma tu che rapporto hai fisicamente con la musica, con la chitarra?

“Beh, un rapporto fortissimo soprattutto con il ritmo. Ho l’amarezza però di non aver studiato seriamente almeno uno strumento. Ho studiato un po’ la chitarra classica, poi con il successo ho detto, sbagliando: “Beh… il classico a cosa mi serve!”

Anch’io ho un rapporto molto fisico con la musica. Cantare soltanto non è sufficiente.

“La cosa che però mi appassiona di più, e seguo in modo maniacale, è la fase di missaggio di un disco. In realtà seguo tutte le fasi della produzione discografica, dagli arrangiamenti alla registrazione. Però il missaggio è fondamentale perché è la fase più delicata e in un certo senso tra l’altro sostituisce il Direttore d’Orchestra. Perché in quel momento si decide il vero “volto” che avrà il disco. Quale strumento deve prevalere, i suoni, la ritmica”

Ascoltando l’inedito della tua raccolta L’animale, Sognando Chernobyl, si sente che hai fato un lavoro pazzesco. Si capisce che hai fatto tutto tu… E’ così?

“Sì, ho suonato tutti gli strumenti, in elettronica, inclusi gli archi. Tranne la chitarra solista e il violoncello che ha suonato il grande Morelenbaum”

La cosa che mi ha sorpreso musicalmente ascoltando Sognando Chernobyl è la grandissima tua naturalezza nell’uso della voce. Anche quei passaggi che metricamente non sarebbero facili, però il tuo modo di cantare e la tua voce rendono tutto così comprensibile pur dicendo concetti estremamente diretti. Andando oltre la metrica usuale. Penso che sia per questa straordinaria voce, capacità così naturale di cantare qualsiasi cosa, anche la ricetta del ristorante, che rende tutto questo possibile. Paolo Conte ha detto di te che sei il più straordinario interprete che possa mai sognare un autore di canzoni per la tua naturalezza nel cantare e per il timbro così particolare della voce. E quindi anche in una specie di Apocalisse in Terra come Sognando Chernobyl, nonostante sia un pezzo complesso, si può capire bene tutto il senso.

“La struttura di Sognando Chernobyl effettivamente è complessa. Perché ho cercato di dare un ritmo diverso tra parole e musica oltre alla complessità dell’arrangiamento. Non è stato facile”

Tornando a Sognando Cernobyl… scusa, faccio una premessa. Io sono dell’Alta Irpinia. Per me un posto importante. Ancora fino a trenta anni fa, prima del terremoto, l’età della civiltà contadina, mondo non rassicurato, io l’ho conosciuta attraverso le “mamme.nonne”. Si chiamano così da quelle parti.

“Anche in Puglia il papà lo chiamano “papà-nonno” [Adriano lo dice in pugliese, ndr]”

Era un mondo contadino fatto di lavoro e di sfruttamento, quello reso immortale dalle canzoni di Matteo Salvatore, il più grande cantore di quel tipo di civiltà che io ho conosciuto guardando il film di Stanley Tucci Big Night, a sua volta costruito su degli italo-americani di origine abruzzese…

“Matteo Salvatore non l’ho conosciuto di persona, ma conosco le sue opere”

Ha cantato solo nel dialetto di Apricena, vicino a San Severo. Era straordinario. Posso farti avere un suo disco.

“Come no, mi interessa molto! Peccato che i suoi dischi non si trovino. Voglio occuparmene”

Per me queste cose hanno rappresentato molto… l’Irpinia… questa zolla di terra. Territori che hanno subito molte migrazioni e che adesso rischiano di pagare le conseguenze dello sviluppo.

“E’ vero, perché ormai l’unico partito è il business. Mentre per me la vera ideologia è credere nell’equità e nell’ecosostenibilità”

Invece in nome dell’emergenza c’è questa discarica prevista in questa area. Certo molti sono contrari, ma mi chiedo: cosa facciamo dei rifiuti che produciamo? Per esempio in Sognando Cernobyl si parla del ripristino del nucleare, come un evento apocalittico. L’obiezione di alcuni è che però inquina meno, se messo in sicurezza il nucleare inquina meno.

“Forse è vero, ma le scorie? Le centrali future dicono che saranno più sicure, ma la mia domanda è sempre la stessa: “Ma le scorie dove le mettiamo?”. Come dicono gli scienziati si esauriranno tra 20-25.000 anni, e io e te non ci saremo più. Ma oltre alle scorie, i pericoli potrebbero venire anche da altri eventi: terremoti, attentati… Insomma io non sono tranquillo. La speranza forse è nella fusione fredda e soprattutto nelle risorse alternative. Perché non fare una politica in tal senso che incentivi e sostenga queste nuove risorse?”

Invece in Italia non c’è una normativa per i “delitti ambientali”. Chi li fa dovrebbe andare in galera. Ma in nome dell’emergenza…

“…è consentito tutto. Tra i “delitti ambientali” inserirei anche chi crea il caos nel paesaggio, patrimonio di tutti noi. Chi avvelena la terra e ci fa mangiare il cancro!”

Adriano, sono le diciotto. Faccio in tempo a farti un’altra domanda?

“Certo”

Questa mi sta molto a cuore. Sono cresciuto con diversi “Celentano”. Una volta Manu Chao ha definito Tonino Carotone l’ultimo dei “Celentano”. Però non era vero perché non era l’ultimo. Non c’era fine… Al paese Ca’ De Caroli vicino a Reggio Emilia c’era un tizio un po’ strano, straordinario. Stava sempre appartato e spesso improvvisamente ballava. Lo chiamavano Celentano. Anche il fratello della mia fidanzata di gioventù lo chiamavano Celentano. Allora io ti chiedo che rapporto hai con tutto questo esercito di “Celentani”? Non parlo degli imitatori, perché in realtà queste persone sono “Celentano nell’anima”.

“I “Celentano nell’anima”, come dici tu, per me sono quasi parenti. Anch’io tante volte sento di essere… “un” Celentano. Si capisce che mi vogliono bene. E questo per me è importante. E’ il motore che mi spinge a dire e fare quello che dico e faccio. Ti racconto un aneddoto. Una volta “un Celentano nell’anima”, me lo trovai in salotto. Appena lo vidi dissi: “Che fai qui in casa mia?”. E lui, cercando di giustificarsi, mi dice: “No Adriano ti prego, scusami non mandarmi via”, intanto lo accompagno fuori casa e un po’ alterato: “Ma che scusami e scusami, ti piacerebbe se improvvisamente entrassi in casa tua?”. E lui con tono euforico risponde: “Adriano, è una vita che aspetto quel momento”. Capisci? A quel punto mi sono messo a ridere e gli ho offerto da bere”

Anch’io ho fatto la stessa cosa con Benigni quando sono andato a fare un provino. Lo imitavo. Infatti non mi ha preso. Però io credo che ci sia in te qualcosa che va al di là del personaggio Celentano. Ad esempio m ricordo quando ero piccolo. Come ti dicevo prima, è successo che mio padre che andava a lavorare la notte in fabbrica si svegliava il pomeriggio e diceva: “Ho sognato Celentano”. E questo era bellissimo. Sai che proprio in suo onore ho registrato la tua Si è spento il sole, l’unico brano non mio che ho mai registrato… perché per me quella era la canzone che rendeva onore e gloria alla tua gioventù, nell’anno di grazia 1962. Forse è per questo che per me nella parola “Celentano” c’è qualcosa in più. In Celentano c’è il cromosoma della gioventù!.

Lo staff di ACfans.it

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