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60 anni con Adriano Celentano – La bellissima intervista di Fernanda Pivano

Adriano Celentano

Settimo appuntamento con la rubrica 60 anni con Adriano Celentano. Questa volta vi proponiamo una bellissima e insolita intervista ad Adriano, realizzata da Fernanda Pivano per il libro “Complice la musica” del 2007.

Adriano Celentano è forse il cantante italiano più famoso nel mondo. Ha venduto milioni di dischi ma ha ancora la gentilezza di passare tutto un pomeriggio a casa mia, accompagnato dalla sua dolce Claudia Mori. Lei la vedo spesso perché ha lo studio proprio qui di fianco, in questo angolo di Milano. Ma lui lo incontro troppo poco. Con Adriano non basterebbe una settimana. Un momento indefinito. Quante ore ci sono in un minuto? Grazie Adriano per il tempo che mi hai dedicato.

Come hai fatto a impadronirti del mondo?
Come ho fatto? Mah, secondo me si diventa padroni del mondo cercando di conoscere la propria piccolezza, perché noi siamo piccoli.
E in cosa consiste la piccolezza?
Consiste nel fatto che tutto quello che ci circonda è gigantesco. Per esempio, quando c’è una bella giornata di sole e vedo una collina che si staglia nell’azzurro, dico: «Cavolo, io sono meno di una foglia». Allora forse, essendo consapevoli di questo, si diventa padroni del mondo, come hai detto tu. È più facile che si aprano delle porte per chi si accorge di contare poco in questo universo; ma credo anche che dipenda dalla fortuna.
Tu le hai semplicemente buttate giù le porte.
Dici così perché mi vuoi bene.
Sì, voglio bene a te e alla tua Claudia, che ha un modo straordinario di entrare nell’animo della gente: l’ho conosciuta con Dori [Ghezzi]. Senti, ma tu leggi le cose che si scrivono di te?
Sì, le leggo. Mi interessa capire cosa vedono gli altri in me, dato che come mi vedo io non l’ho ancora capito.
Sei quello che gli altri vedono come il simbolo della musica italiana. Quando si parla di te, tutti fanno: «Ah!». Tu l’hai mai notato che fanno «Ah!» quando si parla di te?
Sì, quando sono in mezzo alla gente, sì. Ma è anche una forma di rispetto, non è detto che il 100% sia stupore, un po’ è una forma di educazione.
Cosa ti aspetti dal mondo?
Mi aspetto di saltellare ancora un po’. Ma sono circa vent’anni che dico di essere nella fase discendente e penso all’altra vita. Da questa vita non mi aspetto altro, per l’altra ho dei progetti.Cos’altro potresti inventare oltre a quello che hai avuto?
Be’, non c’è limite alle invenzioni, ma sono stato anche fortunato per gli stimoli che ho avuto. Quando è scoppiato il rock nel mondo io ero un orologiaio ed ero l’unico in famiglia che non cantava, al massimo fischiettavo qualcosa o suonavo l’organetto. Ma un amico aveva un disco di questa musica che non era ancora in circolazione in Italia e di cui si sentiva parlare: il rock. Quando l’ho sentito, è come se mi fosse entrato un fulmine nella testa. Sentivo la necessità di cantare come quel cantante, di muovermi. Era Bill Haley con i Comets. Da lì ho cominciato non dico a trascurare il lavoro, ma quasi: perdevo molto tempo durante la giornata a cercare di imparare questa canzone. E fu l’inizio della mia avventura. Mai mi sarei sognato di cantare, pensavo di fare l’orologiaio tutta la vita.
Chissà come ti divertivi a fare l’orologiaio.
Mi piaceva aggiustare le cose, tant’è vero che se in casa c’è un rubinetto che perde io cerco di aggiustarlo.
Guarda che d’ora in avanti ti chiamerò. Finalmente avrò lo scaldabagno che funziona.
Sul serio: mi piace aggiustare le cose. Più che un cantante sarei un aggiustatore.
Un aggiustatore: io ne ho bisogno, sai, a novant’anni sono messa un po’ male. Vieni a mettere a posto me.
Sì, vengo [ride]. Ma sai, bisogna sempre fare qualcosa. Credo che la fortuna sia proprio la scoperta del fare: senza il fare si muore.
Quali sono le cose che ti mancano?
Nessuna. O meglio, dobbiamo essere consapevoli del fatto che non esiste la felicità. Non so, se uno vive ad esempio centocinquant’anni, io penso che le dosi di felicità vissute saranno il 10%, quando va bene. Se uno è consapevole di questo, allora ti devo dire che non mi manca niente. Si sa che ogni cosa, ogni felicità, ogni godimento che puoi ottenere è sempre preceduto da un lavoro, da una costanza che bisogna avere: se non la produci, la felicità non ti viene a cercare.
Non capisco se sei diventato «così» con la popolarità o se hai sempre saputo di essere «così».
Forse prima non sapevo di essere «così», ma il carattere era quello. Ero inconsapevole magari, ma mi comportavo come mi comporterei adesso. Ma alla base di tutto c’è una grande voglia di giocare. Il successo dell’uomo è farsi una risata davanti a un bicchiere di vino. Tu invece cosa pensi?
Io in generale penso che prima me ne vado e meglio è.
Perché?
È molto faticoso vivere a novant’anni. È che tu, quando sarai un po’ scocciato, aprirai la bocca e ti uscirà qualcosa che ti farà stare meglio. Chi ti ha insegnato a cantare?
Nessuno. Mi sono ispirato ai primi cantanti rock. Per i film mi ispiravo a qualche attore, non a uno solo: magari a Marlon Brando, per avere un atteggiamento da «duro» oppure a Clark Gable, quando volevo essere un conquistatore. Ho seguito la scuola più semplice, quella di imparare dagli altri. A furia di farlo trovi il tuo stile.
Non è che tu abbia una scarsa personalità.
[Ride] Sinceramente penso proprio di no.
Quali sono le ragioni delle tue scelte?
È come se stessi facendo un quadro, lo guardo e lo riguardo e cerco di perfezionarlo, dico: «Qui dev’essere più forte, qui dev’essere più debole, se no non c’è equilibrio». Credo sia comune a molti; l’avrai fatto anche tu scrivendo i tuoi libri. Una parola troppo forte all’inizio della pagina potrebbe essere fraintesa oppure non essere nel punto giusto. Non so se sono riuscito a spiegarmi. Comunque le scelte sono importanti e bisogna farle.
Io credevo di fare altre cose. Non credevo di finire su una pagina.
Ma è sempre così. Io non volevo fare il cantante, volevo fare il ballerino. Ho preso anche delle lezioni di tip tap, quello di Fred Astaire: andavo sempre al cinema a vedere i suoi passi. Era straordinario.
Ah, il tuo maestro è stato il cinema allora?
È vero. Un attore doveva saper recitare, cantare, ballare. Oggi non è così. Chi ha nella testa un po’ di follia esce dal cinema e vorrebbe essere come gli attori che ha visto. Io uscivo dal cinema, sgambettavo e cercavo qualcuno che mi insegnasse a ballare. Ho preso anche delle lezioni da un toscano che era stato in America: era bravissimo, mi aveva insegnato quattro o cinque chiavi di ballo. Ma quando ho cominciato a cantare ho smesso.
Fai finta di avere qualche rimpianto.
L’allontanamento dalla via Gluck è un rimpianto che mi fa soffrire ancora oggi. Avevo l’ultima casa prima dei prati, dei canali che si intrecciavano in laghetti dove l’acqua era limpida e cristallina. Quando vedo i palazzi dietro alle tue spalle credo siano mostri. L’uomo è egoista e pensa soltanto a incassare i soldi fregandosene di quello che succede agli altri. C’è chi specula sul fare queste case quadrate in cui mettere la gente come fosse in un forno e pensa: «Tanto poi io la casa bella me la faccio da solo al mare diversa da questi mostri/casermoni che sto costruendo». Ma non sanno che poco per volta il mostro arriverà anche nelle loro belle case. Ma più che un rimpianto, questa è rabbia.
E cosa si dovrebbe fare?
Bisognerebbe radere al suolo tutte le città e rifarle da capo.
È un metodo semplice.
Sì, non è tanto difficile. Si potrebbe per esempio cominciare a radere al suolo una zona, in modo che diventi una specie di faro per gli altri che la vedono; allora poco per volta ci potrebbe essere qualcuno che prenda coscienza e imiti.
Qual è l’unica parte del mondo dove non sei andato?
Ti do una bella notizia. Io non sono andato da nessuna parte. Ho visto pochissimo del mondo; mia figlia, ad esempio, ha visto molto più di me. Ma non me la prendo tanto perché so che quello che non vedo qua lo vedrò nell’aldilà. Le distanze non ci saranno. L’aldilà per me è una felicità continua. Di là noi possiamo fare l’amore, ma non solo con uomo e donna, anche coi fiori; poi possiamo volare in picchiata sott’acqua, incontrare una sirena e fare l’amore sott’acqua respirando senza maschera d’ossigeno. Puoi fare l’amore con un pesce, ci sono dei pesci attraenti. Questi sono i privilegi dell’aldilà.
Raccontami del tuo rapporto con l’acqua nell’aldiqua.
Quando vado al mare resisto poco sott’acqua perché ho sempre paura che da un momento all’altro arrivi un pescecane e mi azzanni una gamba.
Tu non hai mai scritto?
No, scrivo qualche articolo quando qualcosa mi fa arrabbiare. Ho scritto qualche sceneggiatura. E qualche scena di un film che non mi piaceva.
Cosa avresti voluto fare?
Il falegname. È una battuta, ma da un pezzo di legno il falegname crea qualcosa. Da piccolo con il legno avevo costruito una piccola carriola, con la ruota, con i raggi. Qualsiasi cosa che abbia a che vedere col costruire o l’aggiustare mi piace, ad esempio a casa ho un tornio per lavorare l’acciaio.
E Claudia ti aiuta?
No, Claudia dice che respiro la polvere. È protettiva. Cerca sempre di prevenire qualcosa che possa farmi del male.
E cosa succede dentro di te quando devi salire su un palcoscenico?
Quando salgo su un palcoscenico di fronte a una grande platea è chiaro che mi fa piacere e mi chiedo come mai tutta quella gente si è spostata per venire a guardarmi. Anche se lo sai per esperienza, è sempre una sorpresa. Negli anni la gente si affeziona, ma il mio stupore rimane sempre lo stesso. Poi c’è il compiacimento di entrare in scena e soddisfo prima me stesso che gli altri. Allora mi chiedo come entrare: cammino normalmente, oppure rimango fermo. Uno che fa questo mestiere pensa sempre al modo di entrare e al modo di stupire la gente: mi diverte molto.
Cosa senti di avere scoperto?
Io? Niente. Ma sono molto incuriosito dallo «scoprire». Mi piacerebbe fare un’invenzione, un brevetto: che so, un meccanismo per far cascare un palazzo orrendo di cemento. È un gioco come lavorare il legno, mettere insieme i pezzi, come il meccano con cui giocavo una volta. La voglia di costruire mi è rimasta, ma non quei mostri di palazzi che hanno distrutto il mondo.
Avresti successo, tutto quello che tocchi diventa famoso.
Non è vero. Certo, oggi sarebbe più facile, ma nei primi tempi era difficile.
Qual è un problema che non hai ancora risolto?
Mi sono pentito di non aver studiato quando potevo. Adesso mi piace studiare, una volta no. Magari adesso sarei un uomo diverso… con la cravatta. Ogni tanto la metto, perché, dato che non la porto mai, mi si nota di più e tutti si chiedono: «Chi è quello lì attaccato a quella cravatta?». La maggior parte delle volte la metto slacciata, come per dire: «La cravatta non mi piace».
Tu hai rappresentato un secolo.
Forse esageri. Quando passa così tanto tempo uno si accorge di avere rappresentato qualcosa, ma non è un programma. E’ casuale… comunque non credo di rappresentarlo.
Da cosa ti viene l’ispirazione?
L’ispirazione mi viene sempre dalle cose che mi succedono intorno, brutte, belle.
E’ bello che tu ti riferisca alla realtà.
Ma d’altra parte non posso riferirmi ad altro. Nasco da genitori pugliesi e per loro la «realtà» è stata durissima. Per me è stata ed è una scuola. Il mio punto di partenza. Poi non sono ancora così spirituale da potermi riferire a cose diverse. Ma le posso immaginare.
Come si deve fare?
Chissà, forse aspettare e nell’attesa cercare di fare cose semplici, ma belle e interessanti, come parlare con te in questo momento.
Dimmi una domanda che non ti hanno mai fatto.
Mi fai venire in mente Massimo Troisi. Alla stessa domanda ha risposto: «Nessuno mi ha mai chiesto cosa ne penso della Svizzera». Troisi era un poeta.
Sì, era prezioso. Ma tu cosa sogni di fare adesso?
In questo momento sto facendo una vite col tornio. E’ una doppia vite: si avvita per tenere fermo un tassello e contiene un’altra vite… insomma, è una vite con due filetti. E questo mi diverte. Poi devo fare il disco.
Ma per quello basta che canti.
Sì, lo so, ma non è facile.
Perché?
Perché ci sono delle canzoni che mi piacciono e le canto molto facilmente. Altre sono più tortuose, e allora lì fatico un po’. Verrebbe voglia di abbandonare, ma non lo faccio quasi mai.
Qual è il tuo ricordo più bello?
Quando ho conosciuto Claudia. Ci siamo sposati segretamente a Grosseto, scappando dai giornalisti, alle tre di notte. La cerimonia è stata celebrata da Padre Ugolino, un mio amico frate. I giornalisti, in realtà, avevano scoperto che ci saremmo sposati, ma non sono riusciti a trovarci. In chiesa eravamo una decina. Poi siamo andati via in Jaguar dal retro dell’albergo. È stato uno dei momenti più belli, un momento d’amore. Uno dei tanti.
Allora vi ha sposato un frate. Per questo vi è andata bene.
Perché? I frati sono migliori dei preti?
No, no, ma io sono scaramantica e con i frati va bene.
Sì che mi è andata bene.
Vedi, è la fortuna.

Lo staff di ACfans.it

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