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60 anni con Adriano Celentano – Adriano ed il successo, l’amicizia ed il rapporto col pubblico

Adriano Celentano

Tredicesimo appuntamento con la rubrica 60 anni con Adriano Celentano, e questa volta vi proponiamo una lunga intervista di Antonio Lubrano ad Adriano tratta dal Radiocorriere TV n°26 del 1970.

Celentano: Il fiuto

«Sono popolare perchè la gente ha capito che sono sincero», ma molti pensano sia soprattutto furbo. Il chiodo fisso degli amici e l’intesa col pubblico.

MILANO, Giugno.
Gli uomini di successo della musica leggera moderna in Italia. Riepiloghiamo un momento. Quelli che potrebbero durare, s’è detto: Massimo Ranieri ed Al Bano. Quelli che durano: Sergio Endrigo, Gianni Morandi, Little Tony. Chiudiamo con Adriano Celentano, l’idolo che dura con maggiore autorità. Lo straordinario favore di cui gode, e sono ormai dodici anni buoni, si differenzia nel confronto con gli altri per le ragioni che lo determinano. Innanzitutto Celentano è un personaggio nel senso pieno della parola: sa fare spettacolo con la sola presenza in scena e racchiude in sè un miscuglio di caratteristiche, ciascuna delle quali risulta ambivalente, accettabile dai più diversi strati di pubblico. Di lui persino ciò che non piace ad alcuni finisce col piacere ad altri. Forse, azzardando, si sarebbe tentati di definire Adriano Celentano una natura Pirandelliana per il suo modo istintivo di essere questo ed il contrario di questo allo stesso tempo.
Se gli domandate, per esempio, quale sia a suo avviso il motivo vero di una così larga popolarità, Celentano vi risponde che è la sincerità: «Credo che la gente abbia capito che io sono una persona sincera». Se invece chiedete in giro un giudizio su Celentano vi può capitare di raccogliere reazioni come queste: «mi piace perchè è un dritto», «perchè è divertente», «ci marcia ma ci sa fare», «è un furbo di sette cotte ma inventa belle canzoni», «perchè è simpatico comunque». Dove la sincerità, dunque, sembra esclusa. In altre parole Celentano riesce a farsi accettare per ciò che appare, lasciando libero ognuno di immaginarselo com’è in realtà.
E probabilmente la stessa sua disponibilità all’istrionismo ha una radice di sincerità. Avendolo seguito fin dall’inizio e credendo di conoscerlo abbastanza bene (ma non ci giurerei), mi sono fatto la convinzione che l’uomo gioca sempre a carte scoperte, che la sua ambiguità, cioè, è voluta, senza tuttavia sfiorare la malafede, cosciente com’è ormai di aver realizzato una solida intesa col pubblico e tale che gli consente di mitizzare il suo modello e dissacrarlo quando gli pare. Allo stesso modo qualunque discorso con lui viaggia sempre sul limite della credibilità, in bilico tra il vero ed il verosimile, tra il serio ed il faceto, a mezza strada fra la spontaneità e la premeditazione, costantemente insidiato dalla tentazione di prendere in giro se stesso. Tutto sommato un merito. O una difesa.
Ci siamo incontrati una sera nella sua casa milanese, ad oltre un mese dalla mia richiesta di appuntamento e dopo un film alla televisione che non riuscì a vedere anni fa quando comparve per la prima volta sugli schermi. In fondo al grande salone, dominato dall’ormai noto tavolo da bigliardo, c’era alla sua destra la moglie, Claudia, alla sinistra la madre, la signora Giuditta, sul lungo divano a parete, e di fronte il signor Pintus, l’amministratore del Clan, un napoletano dalla voce grave. Atmosfera serena, sensazione di relax totale dopo una giornata vissuta presumibilmente con profitto. Appena ieri Celentano ha partecipato ad uno spettacolo al Palazzetto dello Sport, c’erano ottomila persone e sembra tuttora frastornato dalle loro entusiastiche ovazioni.

Quali pensieri attraversano la mente di un cantante di fronte ad ottomila persone?
“Ne passano tanti, come si fa a descriverli? Quando ti battono le mani per cinque, sei minuti ininterrottamente e pare che il palazzo crolli, si prova una gioia immensa. Più che pensieri si tratta di sensazioni, forse a dirle sono le solite. Mi sembra di giocare al capo, di scalare una montagna e di essere io la guida. E’ divertente, ti fa pensare a delle cose infantili. Ti senti forte, ecco. Se io dico una parola questi qui mi ascoltano. Li porterei tutti in campagna con me, dato che a me piace la campagna – scoppia a ridere contento – Ti domandi se non hai già conosciuto una per una queste ottomila persone venti, trent’anni fa, se non le hai immaginate in quel giorno di solitudine”.

Quale giorno?
“Niente, una cosa dell’infanzia che mi torna spesso in mente. Avrò avuto tre anni e mezzo, quattro, era un pomeriggio d’estate, mia madre come sempre voleva che dormissi qualche ora. Così sono a letto e di colpo mi sveglio. In casa nessuno, apro la porta e c’è la tapparella abbassata. Ricordo che la scostai un poco e fui colpito dalla luce della giornata, una giornata bellissima con un cielo pulito. E non ebbi paura della solitudine”.

Oggi, quando riconsideri la tua carriera, riesci ad individuare il momento in cui ti sei accorto che per te stava cambiando tutto?
“Forse, non so, quando ho avuto il primo successo discografico, Il tuo bacio è come un rock. Prima cantavo, sì, e riscuotevo anche successo, dappertutto, ma non incidevo dischi e non era il successo che fa parlare i giornali, la gente. Fu nel ’58. Mi presentai al Festival di Ancona e arrivai primo con Il tuo bacio è come un rock e secondo con un’altra canzone. In due mesi il disco vendette 365mila copie. Mi resi conto dell’improvvisa popolarità perchè la cantavano tutti, per strada, la gettonavano nei juke-boxes. Fu una sensazione precisa: caspita, dico, ma allora non sono uno scemo come ho sempre pensato”.

E ci si abitua, dopo dodici anni di ribalta, ad essere un uomo di successo?
“Sì, in me c’è ormai l’assuefazione al successo. Un momento però. L’abitudine per me sta nel fatto che io ormai so cos’è il successo. Come potrei negare certe emozioni? Prendi il caso del Palazzetto dello Sport: io non avrei voluto andarci perchè ho sempre un po’ paura della folla, il terrore di essere schiacciato; invece partecipo e mi fanno l’accoglienza che t’ho detto. Ma non è che io consideri, per questo, il successo come la cosa più importante della mia vita. Non lo è mai stato, anche se mi piace il successo”.

E qual è, allora, la cosa più importante della tua vita?
“L’amicizia. Un chiodo fisso, da ragazzino. Avere amici autentici intorno, scherzare con loro, lavorare con loro, produrre e guadagnare con loro, divertirmi in loro compagnia. Che poi si abbiano degli amici e manchi il tempo materiale di scherzare è un altro conto”.

Il chiodo fisso dell’amicizia si è un po’ ritorto contro di te. Celentano, si dice, specula sull’amicizia
“Ma quale cosa nel mio comportamento, nelle mie azioni, nelle mie idee non è stata giudicata una speculazione? Persino la difesa di Claudia da quel tale davanti al cinema, due mesi fa, ha assunto per alcuni il valore di un gesto pubblicitario. E’ vero, io ho delle trovate pubblicitarie e me ne vanto perchè poi vedo che funzionano – lo dice col tono sornione, per poi ritornare serissimo subito dopo – ma non sono mai trovate che fanno leva sui fatti umani o sull’amicizia. Ci sarà pure una ragione per cui se vado, mettiamo, in Francia, ci vado con quindici amici, mentre potrei benissimo partire solo con mia moglie. Per un certo periodo si è anche detto che io speculavo sulla religione. Secondo me uno che specula sulla religione entra in chiesa solo nel momento in cui deve speculare, non continua a frequentarla per anni e per tutta la vita come sto facendo io”.

D’accordo. Tuttavia, proprio tenendo presenti le numerose canzoni d’ispirazione religiosa, molti pensano che Celentano esageri. Non si capisce dove finisce la sincerità dell’uomo e dove cominci una certa furberia industriale.
“Nel mondo in cui viviamo, ma forse anche prima, il sospetto nasce sempre. Quando uno che è conosciuto fa qualcosa di cattivo viene subito segnato a dito; se invece fa qualcosa di buono sembra impossibile che proprio lui, unico nel suo ambiente magari, faccia qualcosa di buono. Ma come, in mezzo alle donne, al denaro, alla sregolatezza, ci dev’essere qualcuno che parli di Gesù o che crede ancora in Dio? Impossibile. Gli sembra una favoletta e allora ecco che mi accusano, dicono che esagero. Io credo che sia quasi naturale un’accusa del genere, non voglio neanche biasimare quelli che la sostengono”.

La consapevolezza di possedere una grossa personalità, di avere – come capo e fondatore di un’organizzazione industriale (il Clan) – certi strumenti di potere nelle mani e certe facoltà decisionali su chi lo circondo, cosa comporta nell’uomo-Celentano? Lo spinge, per esempio, a profittare della sua posizione, ad imporre con assolutismo la sua volontà?
“Senz’altro – risponde di colpo, ma appare sconcertato – Adesso però io non ho capito dove intendi arrivare. Tu vuoi sapere se io, avendo certi principi e gli strumenti per divulgarli, li uso?… E’ questo?…”

Non proprio. Vorrei capire come la coscienza del potere – sia pure nell’ambito si un’azienda discografica a conduzione semifamiliare – trasforma il personaggio; come profitta, se profitta, dell’influenza psicologica che esercita su chi gli sta intorno, al punto che certi cantanti del Clan lo imitano smaccatamente.
“Per quanto riguarda quelli che stanno con me non credo che succeda quello che tu dici, almeno non sempre è così. Io intervengo quando mi accorgo che chi deve interpretare un certo motivo stenta a trovare la forma giusta ed è lui stesso che mi chiede un consiglio, un orientamento. Per forza ci metto dentro qualcosa di mio. Gli dico: fai così, che forse si ricordano che lo faccio io, così, dato che io sono simpatico alla gente, di riflesso diventi simpatico anche tu. Mi è capitato qualche volta, certo”.

Celentano: l’uomo del fiuto, si dice. Due, massimo tre dischi all’anno e ogni anno un boom di vendita, cinque-seicentomila copie se non oltre il milione come “Chi non lavora non fa l’amore”. Che cos’è questo fiuto, come si può raccontare? In che modo nasce una canzone di Celentano? Ci sarà pure un calcolo…
“Sicuro, il calcolo c’è sempre ed è inevitabile. Ma c’è prima l’istinto al quale va aggiunto il calcolo”.

Prendiamo “Viola”, la canzone appena apparsa sul mercato per l’estate 70.
“Bene. Tanto per cominciare io so già che ho davanti un mercato aperto, in quanto la gente sta ad aspettare un mio disco. Questa è già una cosa della quale io profitto, un calcolo. Poi tendo a presentarlo in una trasmissione televisiva molto seguita, tipo «Doppia coppia». Altro calcolo ragionato il testo, l’argomento. La cosa istintiva invece è la musica. Io mi metto lì e suono fin quando sento qualcosa, un motivo che mi piace. Nel momento in cui ho trovato lo spunto buono ci lavoro, sono capace di stare giorni sulla chitarra. Quindi riunisco Miki del Prete e Luciano Beretta (i miei autori di fiducia) e ci mettiamo assieme a fare i versi, sviluppando un tema che interessi la gente. Non abbiamo la pretesa di essere ispirati, usiamo parole di ogni giorno, reali e semplici, perchè sennò la gente si limita a dire «questa qui è soltanto una bella poesia» e magari non la canta. La cosa però che colpisce prima è la musica, poi viene il testo”.

Così ti sei regolato per Sanremo.
“Certo. C’era in giro la faccenda dell’autunno caldo, avevo già scritto una musica che mi convinceva e ho detto agli amici: facciamo un testo che riporti quest’atmosfera. E anche in questo caso ho calcolato tutto. Si sa per esempio che io sono contrario ai festival, e che non voglio partecipare in particolare al Festival di Sanremo. Invece, questa volta, proprio per sorprendere giornalisti e pubblico, ci vado. E bada che un calcolo è stato anche quello di portarci Claudia: la canzone parlava di marito e moglie, io e lei siamo la «coppia più bella del mondo», una canzone che aveva venduto un milione di copie; quindi la trovata pubblicitaria doveva funzionare. Ha funzionato. Però con la stessa franchezza voglio dirti che io non farei niente di tutto ciò se non fossi convinto della canzone e di quello che c’è dentro”.

Ma come fai ad essere così certo di quello che la gente aspetta da te?
“E’ dovuto alla confidenza che io ho ormai acquisito col pubblico. Sono certo di aver capito le cose che possono fargli piacere. Per esempio bisogna offrirgli sempre delle sorprese. Magari precedendo un pochino i tempi, ma non troppo”.

E si ha l’impressione che il pubblico lo segua comunque. Se di fronte alla platea sanremese comincia a cantare e poi di colpo si ferma, nessuno sa bene se Celentano ha sbagliato oppure se la cosa fosse preparata. Chi lo vede si diverte, e forse gli basta.
“E questo è un segno di amicizia che la gente mi dà. Forse perchè ha capito che io sono un amico o che potrei essere un amico. E’ chiaro che si comporta di conseguenza e forse ricambia addirittura più di quello che meriterei. Specialmente quando mi capita di fare gli sbagli che ho fatto all’ultimo Sanremo. Che poi dopo io possa averlo fatto apposta perchè sfrutto l’amicizia della folla, bè, questa è un’altra cosa. Io effettivamente profitto del pubblico che è mio amico”.

Il gioco delle carte scoperte ritorna puntualmente. Ormai la signora Giuditta è andata a dormire. Claudia Mori ha lasciato il salone, è rimasto con noi soltanto Pintus. Domando a Celentano se in definitiva stima la sua voce.
“Ho cominciato ad apprezzarla a furia di sentirla. Al principio, lo confesso, non capivo cosa ci trovasse la gente nella mia voce, oggi sono convinto di avere una voce che fa simpatia”.

In una trasmissione televisiva, «Stasera con…», qualcuno ti disse pubblicamente che sei stonato.
“Mi rendo conto che non posso fare certe cose che altri cantanti riescono a fare. Alle volte però faccio quelle cose di cui neanche io mi ritenevo capace. Questa è la verità sulla mia voce So che ho stonato qualche volta, e stono. Basta sentire i miei dischi – e scoppia di nuovo a ridere divertito lui stesso dalla sua battuta – Ad ogni modo non ho ancora capito fino a che punto potrei arrivare se m’impegnassi. Perchè ho notato che non m’impegno mai fino in fondo in qualcosa. Sarà perchè sono pigro. O magari perchè c’è un po’ di presunzione dentro di me. Io, per esempio, gioco a bigliardo, vorrei vincere la partita sì, ma senza sbracciarmi troppo. Se voglio vincere devo essere un po’ arrabbiato”.

Qual è il rapporto che si è stabilito tra Celentano ed il denaro? Che forza ti dà e come ti fa sentire nella società attuale?
“Mi rendo conto di quello che rappresento per gli altri è in ciò trovo un cambiamento. Ma guardando me stesso trovo che tutto è come prima. Per me è come se non ne avessi. Certe volte, se qualcuno non mi ricorda che ho i soldi, faccio magari la figura del barbone”.

Riaffiora il sospetto di sempre. Pur accettando certi suoi atteggiamenti con simpatia, si continua a dubitare che in lui il personaggio prenda ad un certo punto irresistibilmente il sopravvento sull’uomo.
“E’ un bene che sia così, non credi? Anche se scherzo dico la verità. Che poi io approfitto, tenendomi in equilibrio, lo faccio semplicemente perchè mi diverto”.

Il giochetto di sempre, insomma.
“Già”.

Antonio Lubrano

Lo staff di ACfans.it

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